Controvento – La Spagna
contro il sessismo linguistico

Ho ricevuto parecchie risposte all’articolo di due settimane fa sul cambiamento linguistico necessario, anzi indispensabile, se si vuole garantire una effettiva parità e dignità alle donne.
Spiegavo che le più recenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze hanno dimostrato che quello che diciamo di fronte ai nostri figli, anche quando sono in fasce e non sembrano consapevoli, plasma il loro cervello e la loro visione del mondo. Ripetere “l’architetto” e “la segretaria” – come spesso avviene anche nelle conversazioni più innocue – ingenera già nella primissima infanzia l’idea che agli uomini spetti il nobile compito di progettare i palazzi e alle donne quello di battere a macchina le lettere del capo.
L’italiano è una lingua particolarmente sessista, non avendo il neutro ed essendo anche l’articolo connotato al maschile o al femminile, a differenza dell’inglese dove il “the” è unisex.
Ma non è l‘unica. Lo spagnolo ha lo stesso problema, ma la Spagna, che fino a 50 anni fa era uno dei Paesi più bigotti e arretrati, è ora all’avanguardia nella lotta alle differenze di genere e sta facendo passi da gigante anche nella modifica del linguaggio. Me lo racconta Daniela Bosé, Managing Director del Palacio Vístalegre e Strategic Consultant di The Mediapro Studio (la più grande produttrice audiovisual Europea) e della italiana Soundreef, che oltre ad essere una delle massime dirigenti nella industria della musica in Europa (autrice del documentario ‘Mujeres de la música’, che ha avuto grandissima risonanza nel settore), ha lavorato al Ministero della Cultura a fianco della Ministra Angeles Gonzales-Sinde, per l’attuazione di misure a difesa delle diversità e delle pari opportunità. Membro del clan artistico Bosé-Dominguin (Lucia Bosé, da poco scomparsa, era sua zia paterna), Daniela è convinta che la lotta delle donne non può più limitarsi alla parità di genere ma deve avere come obiettivo la parità per tutti, indipendentemente dalla religione, gli orientamenti sessuali e il colore della pelle.
Grazie a persone come lei, mentre mentre da noi il ddl Zan si è vergognosamente arenato, il governo spagnolo ha recentemente varato una delle leggi più all’avanguardia nel campo del LGBT, che consente addirittura il cambiamento di sesso dai 12 anni (con parere medico), dai 14 con il solo consenso dei genitori, dai 16 per libera scelta (non esprimo giudizi in merito, lo riporto come fatto di cronaca).
“In Spagna da anni il governo socialista ha promosso l’introduzione dei vocaboli al femminile per tutte le professioni, Doctora, Ministra, Profesora, Ingeniera, e la Real Academia de la Lengua li ha ratificati e aggiunti al vocabolario” , mi racconta Daniela, ma è stato solo l’inizio del percorso per adattare la lingua spagnola alla cultura contemporanea. Ora il Ministerio de la Igualdad si sta occupando di estendere il linguaggio inclusivo anche ai cosiddetti ‘non binari’, cioè le persone che non si identificano in un genere definito.
“Si comincia a dire ““ellos, ellas y elles (anche se questo ultimo termine ancora non esiste nel dizionario) e scrivere una “x” invece della “o” o della “a” spiega Daniela Bosé. “Per esempio todxs, niñxs etc- ma sono termini impossibili da pronunciare”.
Sarebbe come scrivere in italiano bambinx o dottorx. Certamente un lodevole tentativo, ma non una soluzione pratica. Però almeno qualcuno se ne occupa, mentre da noi il problema del linguaggio sessista non viene nemmeno preso in considerazione e il linguaggio, i media e i libri di testo continuano a perpetrare una visione mortificante del ruolo delle donne – dei diversi di altro tipo non si considera praticamente l’esistenza.

Viviana Kasam