Dimenticanze non casuali

Abbiamo concluso il nostro intervento di mercoledì scorso con una domanda, relativa alla posizione occupata dal popolo ebraico nella visione teologica di Dante. Quelli vissuti prima del cristianesimo, come abbiamo ricordato, sono tutti in Paradiso. Abbiamo visto che Virgilio narra, nel IV Canto, di avere visto personalmente la migrazione verso il cielo di Adamo, Abele, Noè e poi degli ebrei Abramo, Isacco, Giacobbe, Rachele, Mosè, Davide. E Dante vedrà con i suoi occhi, nel Paradiso, Adamo (Par. XXVI. 82-96), Eva, Sara, Rachele, Rebecca, Giuditta, Rut (Par. XXXII.1), Davide (Par. XX.38, XXV.72): tutti salvi, tutti santi. Ma gli ebrei vissuti dopo dove sono? Naturalmente, quelli vissuti “senza peccato”, perché il posto degli altri non può non essere l’Inferno: e là troveremo, ovviamente – come vedremo in seguito -, coloro che, secondo la visione teologica medievale (e non solo), fatta propria da Dante, portano la “terribile colpa”: Giuda, il Sommo Sacerdote Caifa, suo suocero Annah e tutti i componenti del Sinedrio. Sono versi che, purtroppo, com’è noto, hanno non poco alimentato – indipendentemente dalle personali intenzioni del poeta – il pregiudizio antisemita. Ma dove sono gli ebrei vissuti dopo l’avvento del cristianesimo.
Da un punto di vista teologico, il loro posto dovrebbe essere nel Limbo. Com’è noto, nel quarto Canto dell’Inferno, nel Limbo, Virgilio, insieme a Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, accompagna Dante a visitare il “castello degli spiriti magni”, i grandi uomini del passato, alla cui vista il poeta “si esalta” (Inf. IV. 120), per poi elencare alcuni dei loro nomi, in una formidabile sintesi di altissima poesia, trasudante infinita ammirazione: Socrate, Platone, Aristotele, Democrito, Cicerone, Seneca, Euclide, Tolomeo, Ippocrate… Tutti insieme, davanti allo sguardo del poeta estasiato. Davvero fortunato, Dante, verrebbe da dire, a poter godere di una così sublime visione! Uomini immensi, che hanno creato la nostra civiltà. Eppure, esclusi per sempre (?) dalla luce del Paradiso. Tra questi, Dante inserisce anche tre grandi esponenti dell’Islam, degni di appartenere a questa cerchia eletta: il nobile Saladino, simbolo del sovrano giusto, magnanimo e leale, e i due grandi filosofi e commentatori di Aristotele, Avicenna e Averroè, famosissimi nella cristianità medievale, che Dante conosceva molto bene, e al cui pensiero attinge in più occasioni.
Ma come mai, tra gli spiriti magni (dei quali vengono fatti ben trentanove nomi, compreso Virgilio), Dante non vede neanche un solo ebreo? Ben degnamente, per esempio, avrebbe potuto e dovuto inserire, per esempio, almeno tre nomi (anche per “par condicio” con l’Islam), quelli di Rashi, di Nachmanide e di Maimonide che, certamente, conosceva e ammirava.
Una dimenticanza casuale, a mio avviso, è categoricamente da escludere. Si tratta certamente di un’omissione voluta. Dove sono gli ebrei, non convertiti al cristianesimo, vissuti nell’era volgare? Essi, come vedremo, appaiono menzionati diverse volte, come popolo, a volte in modo neutro, ma anche in modo apparentemente ostile. Ma, al di là di Giuda, Caifa e Annah, non ne incontriamo neanche uno. Non può, ripetiamo, trattarsi di una dimenticanza casuale.
La mia ipotesi è che Dante lasci aperta la possibilità che il loro posto sia nel Paradiso. Non lo dice, perché non poteva dirlo, ma sceglie volutamente di non dire il contrario: lancia, per così dire, un messaggio cifrato, da decrittare, sul quale mi soffermerò mercoledì prossimo.

Francesco Lucrezi

(25 agosto 2021)