Dialogo e monologo
Il vangelo della domenica dedicato da padre Antonio Spadaro sul Fatto Quotidiano a un brano tratto da Marco ha suscitato numerose critiche nel mondo ebraico. Si tratta di rilievi che condivido e che inducono a riflessioni più ampie sulla valenza del dialogo ebraico cristiano, inaugurato ormai diversi decenni fa sull’onda del Concilio Vaticano II. L’Autore della riflessione non è un personaggio di secondo piano. Uomo di ampia cultura, esponente di punta dell’ambiente dei Gesuiti da cui proviene lo stesso pontefice, è direttore di una rivista, “La Civiltà Cattolica”, che nel suo pedigree vanta purtroppo decenni di antisemitismo militante negli ultimi vent’anni dell’Ottocento e poi, durante il fascismo, duri articoli dal tono inequivocabile. La cautela sarebbe in questo contesto una dote da perseguire quando, firmando da direttore di quella rivista su un quotidiano nazionale, si decide di scrivere di farisei, di giudei e di pratiche religiose. Ma prendiamo in considerazione il nucleo della predicazione domenicale di padre Spadaro. Il ragionamento non fa una piega: sostanzialmente (mettendo da parte per un attimo giudei e farisei) la polemica è volta a tutte quelle pratiche rituali e religiose formali che sottraggono sostanza alla profondità del messaggio religioso. Niente di rivoluzionario. La tradizione ebraica è piena di riflessioni del genere e le parole del vangelo di Marco – come da molto tempo attesta una ricca letteratura scientifica – sono testimonianza di un dibattito inter-ebraico peraltro ancora irrisolto. Chi fossero i “farisei” o gli “scribi” a cui fa riferimento il testo antico non è dato sapere e comunque essi vanno contestualizzati alla terra d’Israele di duemila anni fa. Ma la questione qui è un’altra: quando si usa oggi, nel 2021, su un organo di informazione non scientifico, in maniera così netta la polemica antigiudaica tratta quasi alla lettera da Paolo di Tarso e dal suo progetto politico/teologico fondativo del cristianesimo, si finisce con l’inoltrarsi anche senza volerlo nel liquame dell’antigiudaismo antico che tanti danni storici e umani ha prodotto. Il perché di questa scelta editoriale non è dato sapere. Ma per chi da decenni è impegnato in un lungo, appassionato e fruttuoso percorso di dialogo fra ebrei e cristiani, fatto di riconoscimenti e conoscenza reciproca e di sincere amicizie, il ritorno di questi ragionamenti preconciliari non può che generare stanchezza e sconforto.
Mi rivolgo con sentimento a padre Spadaro, e perché no, a papa Bergoglio, con una domanda retorica ma sincera: quo usque tandem? Fino a quando dovremo ascoltare e leggere di predicatori cristiani che se la prendono apertamente con i farisei (così come letti dai vangeli) senza tener conto che da quel gruppo è emerso e si è strutturato l’ebraismo post-biblico che è base delle attuali comunità ebraiche? Fino a quando dovremo registrare questo appiattimento semantico che produce prediche accusatorie contro i “giudei” e le loro pratiche, senza tener conto che nella storia la parola e il concetto di “giudeo” ha prodotto persecuzioni inenarrabili? Fino a quando l’immagine dell’ebraismo trasmessa nelle predicazioni dai pulpiti o dai giornali secolari (Il Fatto Quotidiano in questo caso) rimarrà legata all’antica polemica paolina e non farà cenno ai numerosi e profondi documenti teologici prodotti dalla Chiesa di Roma dopo il Concilio? Fino a quando la Bibbia ebraica verrà chiamata “Antico o vecchio Testamento”, sottintendendo un suo fatale e moderno superamento che la renderebbe superflua e relegando quindi gli ebrei al ruolo di relitto e scoria inspiegabile di una storia di salvezza? Fino a quando le pratiche religiose ebraiche verranno etichettate come inattuali e antiche, retaggio di passati antropologici oggi superati quando non inutili? Una nota finale su quest’ultimo aspetto, dedicata in particolare a padre Spadaro e allo sbertucciamento della pratica ebraica di lavarsi le mani (“non abbiamo bisogno di lavaggi disinfettanti per dialogare con Dio”): padre Spadaro, ma le sembra il momento? Sono due anni che tutto il mondo si lava e si disinfetta le mani salvando in tal modo milioni di vite, seguendo un precetto di igiene elementare che è nel contempo fisica e spirituale. Ma davvero? Suvvia…
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC