Quando il veleno è social
Docenti universitari, filosofi, giornalisti, politici, psicoanalisti. Sono ventidue gli intervistati che hanno preso parte all’ultima indagine dell’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione Cdec, presentata sul numero di Pagine Ebraiche di gennaio in distribuzione. Attraverso le loro risposte, l’indagine, curata dalla sociologa Betti Guetta, analizza il fenomeno antisemita nella sua complessità e nelle diverse modalità in cui viene percepito nella società italiana.
Tutti sottolineano la rilevanza e la pericolosità del web come luogo di divulgazione dell’odio e dell’antisemitismo “soprattutto perché attraversi gli algoritmi e la rete consente di proporre a ciascun individuo il pensiero espresso da individui che la pensano in modo simile sdoganando e legittimando così narrative antisemitiche”. Infine, la rete è veloce e la velocità lascia meno spazio alla riflessione e quindi alla morale: in rete tutto verte sull’assunto stimolo-reazione-azione-consenso. La mancanza di morale e di razionalità è ciò che molti degli intervistati ritengono essere il primum movens di posizioni antisemite.
Con il web lo spazio di espressione dell’antisemitismo e la visibilità dei sentimenti antisemiti sono cresciuti enormemente; gli autori dei principali attacchi antisemiti nel 2019, d’altronde, sono stati attivi nel diffondere propaganda antisemita online, attraverso reti internazionali di attivisti. “Ciò che accade su internet non rimane su internet” e le reti che propagano il discorso d’odio, qualunque sia l’ideologia che li ispira, possono avere un impatto diretto sulla vita dei gruppi presi di mira. La facilità con cui oggi è possibile produrre e distribuire contenuti in rete crea una complessità che trasforma il rapporto con la conoscenza”. In particolare, dice Guetta, “i social media, orientati da algoritmi che mettono in contatto persone che la pensano nello stesso modo, sono uno specchio che rafforza le proprie convinzioni”; non hanno moderatore; estremizzano le posizioni degli utenti; amplificano le voci di minoranza; aumentano l’aggressività per la velocità delle reazioni; rendono più violento il linguaggio per l’effetto anonimato.
“La rete favorisce una discussione brutale, poco informata, favorisce la diffusione di teorie complottistiche, amplifica delle voci che sono di minoranza”.
“I dati dicono che la compressione, la velocizzazione delle informazioni, che è nata con internet e poi la ulteriore velocizzazione, compressione, che è stata data dai social…è l’aggressività che si esprime…è l’urlo calcistico, la grande emozione che si esprime che è anche la regressione. È paradossale perché si parla di una comunanza virtuale e non fisica, però ci sono degli aspetti in comune con l’urlo calcistico e con la regressione animale, di gregge, che non include mai l’elemento morale ma che è uno degli strumenti poi che vanno in mano ai politici, ai fondatori di movimenti”.
Internet fornisce agli antisemiti di ogni tipo un mezzo per diffondere la loro narrazione sia nella forma di un discorso di odio esplicito sia in manifestazioni codificate in discorsi impliciti o indiretti. L’antisemitismo di tutti i giorni è molto più pericoloso dell’odio per gli ebrei che deriva dagli estremisti poiché, viene fatto notare, “i moltiplicatori e i promotori sui livelli tradizionali del web aumentano la normalizzazione e l’accettabilità sociale dell’antisemitismo”.
La soppressione dei contenuti antisemiti online può, quindi, essere un primo passo. Ma, si aggiunge, “deve essere accompagnata dalle contro-narrazioni positive nonché da informazioni accurate e facilmente accessibili sulla storia dell’antisemitismo e della persecuzione ebraica”. “Primo, un effetto ‘anonimato’ che rende più ‘violento’ il linguaggio in rete. Secondo, un effetto ‘camera dell’eco’ che fa sì che persone con pregiudizi trovino sempre conferma in rete, perché visitano siti o gruppi che condividono le loro stesse idee”. “La rete è la vera infrastruttura, un’infrastruttura strategica. Quindi, se tu ti impossessi della rete, e se tu al contrario nella rete non ci stai, il rischio è che muti l’opinione pubblica.(…) Oggi le infrastrutture sono in mano a chiunque. La rete è strategica. Dobbiamo esserci!”.
“Molte persone scaricano sul web quelle che sono anche frustrazioni, per definirle tali. Quindi utilizzano il web, i social network soprattutto, per scrivere dei commenti e dei pensieri che sono talvolta allucinanti e che portano avanti anche degli atteggiamenti di odio. Questo favorisce anche la pubblicazione di commenti, di pensieri, che hanno talvolta un carattere antisemita”.
“La rete è terribile perché ti conferma i bias. Lo vedi anche da come hanno successo i partiti populisti. La rete ha un effetto assolutamente deleterio. (…) Ha un impatto sulla nostra generazione, sui millennials, che non so neanche se considerare più dei giovani. Ha sicuramente un impatto molto diverso sulla generazione Z. Nella generazione Facebook si è risvegliato l’antisemitismo, ho sentito dire cose che non avrei mai pensato di sentir dire dopo gli Anni ‘60/’70. Quando escono tutte le cavolate intorno a Soros si sentono a volte anche persone intelligenti parlarne e questo vuol dire che tali concetti si stanno amplificando. C’è un inquinamento del dibattito culturale, di quelle che sono le percezioni”.
“La parola libertà sui social ha assunto una valenza assolutamente fuori controllo”.
“La rete ha tra le sue caratteristiche quella di creare delle bolle autocelebrative”.
“La rete favorisce l’antisemitismo per tre fenomeni. Primo fenomeno: l’anonimato garantisce alle persone che dicono delle cose stupide o efferate di farlo proteggendosi dietro un anonimato; secondo fenomeno: lo strumento con il quale puoi diffondere il tuo pensiero è molto rapido e immediato; terzo fenomeno: gli algoritmi hanno questa tendenza a metterti in contatto con persone che la pensano come te, il che fa nascere la sensazione che tu abbia ragione”.
(Le immagini che accompagnano il Dossier Antisemitismo di Pagine Ebraiche sono tratte dal catalogo della mostra “Saul Steinberg Milano New York” curata da Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari e realizzata insieme alla casa editrice Electa)