Accompagnando Virginia
La comunità ebraica di Venezia, i famigliari, le amiche e gli amici, alcuni dei suoi allievi hanno seguito le spoglie di Virginia Gattegno nel loro ultimo viaggio verso il cimitero del Lido. Lo hanno fatto come si usa in Laguna da secoli: in corteo si accompagna il feretro in una cerimonia silente che fa il giro del Campo di Ghetto Nuovo, quindi si prosegue fino a fermarsi di fronte alla porta aperta di una delle sinagoghe in Ghetto Vecchio. In quei luoghi Virginia ha abitato negli ultimi vent’anni, portandovi il suo sguardo disincantato e affamato di vita, lei che aveva conosciuto da giovane l’abisso della morte ad Auschwitz. Nell’ora del commiato, quando ormai tutto è compiuto e anche l’ultimo pugno di terra ricopre la bara, il rabbino Daniel Touitou ha pronunciato parole semplici e forti, che a Virginia sarebbero piaciute: “Una delle ultime volte che l’ho incontrata mi ha parlato del numero che le hanno tatuato sul braccio sinistro ad Auschwitz. ‘Mi hanno detto che potrei cancellarlo – ha mormorato Virginia – ma io non voglio farlo e sai perché? Perché si tratta di un documento’. Ecco – ha proseguito Touitou – noi adesso stiamo seppellendo quel documento, e sta a noi fare in modo che non venga dimenticato”.
Dimenticare è più facile di quel che sembra. Per dire, al funerale dell’ultima superstite di Auschwitz vivente in città non era presente nessun rappresentante dell’amministrazione comunale. Non un segno, non uno stendardo, neppure un mazzo di fiori. In quel Campo dove si ricorda ogni 25 aprile l’anniversario della resistenza di fronte ai monumenti che rammentano la Shoah non c’era quel mondo fatto di associazioni, di forze politiche e di istanze pubbliche che da sempre si fa carico della Memoria, quella con la pomposa emme maiuscola di cui si parla ogni 27 gennaio.
Anche per questo motivo è necessario che quel documento, quel numero che ora giace due metri sottoterra nell’antico cimitero ebraico del Lido di Venezia diventi uno strumento di conoscenza su cui lavorare, proprio nelle ore in cui dai confini orientali dell’Europa ritorna l’eco dei bombardamenti e diventa manifesto un presente fatto ancora una volta di soprusi e devastazioni.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC