Il teatro come antitesi del fascismo
Il teatro è un’espressione artistica. Per questo, spiega il regista e attore Massimo Popolizio, in M Benito Mussolini, Margherita Sarfatti, Giacomo Matteotti, Gabriele D’annunzio non sono fedeli ricostruzioni storiche di personaggi realmente esistiti, ma allegorie. Sono rappresentazioni di idee, di concetti. Nel guardarli bisogna andare al di là del loro ruolo storico, raccontato da Antonio Scurati nel suo M, da cui lo spettacolo è tratto. “Il Matteotti impersonato da Raffaele Esposito per esempio non somiglia all’originale, né l’attrice Sandra Toffolatti ha qualcosa del personaggio Margherita Sarfatti, e così il D’Annunzio impersonato da Riccardo Bocci”. Ed è il fascino di M, in cui si vede un Mussolini da avanspettacolo ballare il tiptap e allo stesso tempo dire cose terrificanti. In cui Giacomo Matteotti appare, come spiega Esposito, “in una veste un po’ scassata, un po’ trasandata: il nostro Matteotti è un uomo solo, come del resto lo fu davvero di fronte al fascismo”. Ma anche un uomo innamorato di sua moglie Velia, con cui intrattiene una commovente relazione epistolare. Oltre ad essere un politico profondamente legato alla sua terra, impegnato a difendere i suoi concittadini del Polesine. “Matteotti è una vera vittima. È un eroe positivo e un martire volgarmente ucciso”, rileva Popolizio.
La volgarità della violenza fascista è uno dei filoni dello spettacolo. Emerge con forza anche se non è rappresentata con finti spargimenti di sangue. “Non c’è la scena dello sparo e dell’uomo che si mette la mano al cuore, ma la violenza fa parte integrante dello spettacolo”. È una violenza rappresentata nel plotone di esecuzione guidato da Balbo che mette a morte per divertimento un uomo davanti alla sua famiglia. E la violenza dei fascisti in parlamento che irridono Matteotti mentre lui ricorda pestaggi e uccisioni delle squadracce nere in giro per l’Italia. Nell’immagine del cappuccio del boia che apre e chiude lo spettacolo e che i due Mussolini si scambiano. Inquadrature che Popolizio affida allo spettatore perché sia lui ad interpretarle, aiutato dalla voce in terza persona che, spiega il regista, “serve proprio a chiamare la complicità del pubblico”. Questa complicità, scrive Scurati, è quello che differenzia il teatro come forma d’arte dalla teatralità del fascismo. Nel libretto di sala, lo scrittore ricorda infatti come spesso Mussolini sia associato al teatro. Ma tra essi “c’è un abisso” che “ruota attorno a ciò che significa ‘avere un pubblico’”. Per il fascismo e Mussolini il fine è “l’annientamento del ‘pubblico’ inteso come ‘comunità, liberamente riunita’ che ‘si rivela a se stessa’ specchiandosi nelle arti della scena”. L’individualità è cancellata, mentre nel teatro ogni spettatore è protagonista. Libero di interpretare quanto vede. “Per questo il fascismo è la radicale antitesi del teatro come forma d’arte”, scrive Scurati. Per questo a suo modo M rappresenta una rivincita del teatro proprio sul fascismo.
Pagine Ebraiche Marzo 2022