Missili russi sul confine polacco
Strage nella base militare ucraina

L’offensiva russa contro l’Ucraina continua ad estendersi. Ultimo bersaglio, la base militare di Yavoriv, dove i missili di Mosca hanno causato 35 vittime (180 secondo la Russia). La base di addestramento si trova a 25 chilometri dalla Polonia e per questo Stampa e Corriere parlano di attacco e strage “ai confini della Nato”. “Una pioggia di fuoco, – scrive l’inviata Marta Serafini sul Corriere – per ribadire il messaggio. Ogni luogo dove arrivano armi e ci si addestra a combattere è un ‘obiettivo militare legittimo’”. Tra le vittime, riporta Repubblica, molti stranieri, in particolare olandesi. L’ipotesi è che nella base ci fossero “esperti combattenti di Paesi della Nato” che stavano “insegnando ai volontari della Brigata internazionale, ma anche alle nuove leve dell’esercito ucraino, a disinnescare bombe, alzare un ospedale da campo, ma anche maneggiare mortai Stinger e lanciarazzi Javelin”. Intanto, aggiunge Repubblica, la Russia, al fianco dei bombardamenti a tappetto, ha messo anche in moto dalle città ucraine conquistate uno “spostamento massiccio delle popolazioni che vengono inglobate verso la Federazione Russa”. Il quotidiano la definisce come “pulizia etnica”.

Negoziati e spiragli. “La Russia è attualmente impegnata a distruggere l’Ucraina, tuttavia sta anche segnalando che potrebbe essere pronta per iniziare negoziati di sostanza”. Le parole di Wendy Sherman, numero due del dipartimento di Stato americano, aprono a un piccolo spiraglio sul fronte delle trattative, al momento respinte di fatto da Mosca (Corriere). Oggi a Roma si incontreranno le delegazioni cinesi e americane per provare a rilanciare l’azione diplomatica e intanto sui quotidiani si parla della richiesta russa di forniture di armi a Pechino.

Negoziati a Gerusalemme. In tema di diplomazia, rimane sul tavolo il tentativo israeliano di mediazione, di cui parlano Corriere della Sera e Giornale. Zelensky vuole Gerusalemme come luogo per i negoziati perché “tra fondatori di Israele c’erano molti ebrei ucraini che hanno portato in Medio Oriente la loro storia e il desiderio di costruire un grande Paese. Così – le parole del presidente ucraino al quotidiano Haaretz – ha senso che siate vol a provare”. Il Corriere riporta le richieste americane al Premier israeliano Bennett, ovvero di applicare le sanzioni alla Russia e quindi di smarcarsi dalla posizione più cauta da lui assunta. “Qualcuno ha scritto che Bennett vuol convincere Zelensky ad arrendersi, ovvero ad accettare la rinuncia al Donbass, la semidemilitarizzazione, la neutralità. – scrive invece Fiamma Nirenstein sul Giornale – Bennett ha risposto infuriato, negando del tutto. E in realtà, un piccolo popolo come quello israeliano, tutto impegnato nella difesa della propria democrazia ormai da ottanta anni, non può che essere anima e corpo con Zelensky”.

Denazificazione. “Ci possono essere fascisti o filonazisti in Ucraina, come dappertutto purtroppo, anche in Italia o in Francia, ma sono una minoranza. E come se qualcuno dicesse che per far fuori Forza Nuova bisogna bombardare l’Italia: una follia che nasce da una menzogna totale”, così la sopravvissuta alla Shoah Edith Bruck intervistata dal Corriere. Bruck definisce una follia la scusa della denazificazione dell’Ucraina portata avanti dalla propaganda di Putin (e oggi ripresa dal direttore de La Verità Mauzio Belpietro). Ma invita anche a non fare paralleli tra quest’ultimo e il nazismo. A riflettere sul perché Putin usi quella retorica è il direttore del Foglio Claudio Cerasa: “Funziona così. Individua un nemico da combattere. Trasforma quel nemico in un mostro. Cerca ogni giorno dettagli per confermare la sua pericolosità. Accresci la paura. Gioca con le emozioni. E una volta sdoganata l’idea che il tuo nemico sia una dittatura, o una forma di dittatura, usa questa finta battaglia in difesa della libertà per nascondere abilmente le pulsioni illiberali”. In questa retorica anche la palese contraddizione di definire nazista un presidente ebreo, genero di sopravvissuti alla Shoah, trova posto. Sempre sul Foglio viene poi tradotto un articolo del Washington Post in cui si racconta come, fino a questa guerra, in Ucraina la Comunità ebraica si stava lentamente ricostruendo. E ora, l’invasione di Putin, ne ha nuovamente messo a rischio il futuro.

Voci per l’Ucraina. Al Teatro Franco Parenti ieri sera è andata in scena l’iniziativa “Per l’Ucraina per l’Europa”, organizzata da Repubblica e Linkiesta con il coinvolgimento di molte voci del mondo della cultura e delle istituzioni. Tra loro, diverse legate al mondo ebraico tra cui quella del filosofo e scrittore Bernard-Henri Lévy che nella guerra in Ucraina vede lo scontro tra due concezioni di Europa: quella illiberale di Putin e quella democratica di Zelensky. A proposito di Europa, a Repubblica il Presidente del Consiglio Ue Michel parla di maggiore unità tra i 27, spiega che sono pronte altre sanzioni contro la Russia e aggiunge: “Noi sosteniamo l’Ucraina al livello umanitario, finanziario e militare. E con mezzi diplomatici. Tutto quello che facciamo è per portare la Russia a negoziare una soluzione diplomatica. Putin sta già perdendo la battaglia della comunicazione. Non sono passate le sue bugie e favole a proposito della cosiddetta ‘operazione militare speciale’. Si dice spesso che le democrazie sono deboli di fronte alla propaganda dei regimi più autoritari. E avvenuto il contrario”. Su La Stampa invece Donatella Di Cesare difende la sua posizione contro gli aiuti militari all’Ucraina.

Attacco all’informazione. Brent Renaud, 50 anni, è il primo giornalista straniero caduto nella guerra di aggressione decisa da Putin. E oggi i quotidiani italiani lo ricordano. Renaud, documentarista con una lunga esperienza in teatri di guerra, è stato colpito a Irpin. “Abbiamo attraversato un ponte, stavamo filmando i rifugiati. Qualcuno si è offerto di portarci al ponte successivo. Abbiamo attraversato il check-point e a quel punto hanno iniziato a spararci addosso. L’autista ha fatto inversione ma hanno continuato a sparare, il mio amico Brent è stato colpito al collo”, il racconto del collega Juan Arredondo (Corriere). Renaud, scrive Francesca Mannocchi su La Stampa, “voleva vedere da vicino il volto ordinario della guerra, quello delle persone in fuga. Delle vite piegate dalle bombe. Per questo era lì, per questo ha attraversato il ponte. Perché da un lato del ponte c’è l’illusione, dall’altro la realtà. E lui era un documentarista, aveva scelto la realtà”.

Vita e destino. Sul Corriere della Sera Alessandro D’Avenia riprende in mano l’opera dello scrittore Vasilij Grossman per riflettere sul ruolo dell’uomo e della sua umanità in contrasto con le derive del potere e della guerra.

Ricordando Feltrinelli. A cinquant’anni dalla morte di Giangiacomo Feltrinelli, avvenuta il 14 marzo 1972 a Segrate in circostanze misteriose, diverse sono le iniziative in sua memoria. A ricordarlo oggi tra gli altri Gad Lerner sul Fatto Quotidiano.

Daniel Reichel