Il dramma dei bambini

In risalto sui giornali l’interlocuzione tra il presidente ucraino Zelensky e l’aula di Montecitorio. A precedere l’intervento una standing ovation che il Corriere descrive come “davvero vibrante, insistita, emozionata, con il premier Mario Draghi che applaude tenendo le mani bene in alto perché si veda e si senta che l’Italia è qui, che la politica è qui, e che sappiamo tutti — quasi tutti, va — da che parte stare in questa guerra”. A gettare un’ombra è stata infatti la defezione di circa trecento parlamentari filo putiniani o con posizioni ambigue sull’aggressione russa. Questa la conta di Repubblica: “Mancano all’appello soprattutto grillini e leghisti, tra cui Simone Pillon (a Londra) e Vito Comencini (che è stato in Russia). E non ci sono gli ex M5S Gianluigi Paragone, Mario Giarrusso, Elio Lannutti, Laura Granato, che per scelta è in treno anziché sugli scranni”.
“Immaginate Genova completamente bruciata” ha detto Zelensky per spiegare la devastazione compiuta dai russi a Mariupol. Un riferimento dovuto forse al fatto “che Genova nella storia d’Italia è la città simbolo della Resistenza al nazifascismo, lotta per la quale è stata insignita della Medaglia d’oro al Valore” (Il Sole 24 Ore).
Dramma nel dramma, la sorte dei più indifesi di tutti: i bambini. “Più di 109 bimbi sono stati uccisi e oltre 120 feriti. Per me è difficile citare questi bilanci. È una tragedia personale per ogni ucraino” racconta Olena Zelenska, la first lady di Kiev, in una intervista con Le Parisien tradotta dal Corriere. Un dato in realtà ancora parziale, visto che il numero delle vittime minorenni è salito nel frattempo a 117.

Roberto Saviano (Corriere) chiede alla scrittrice Masha Gessen come è possibile che Putin, finanziatore delle destre populiste e radicali europee utilizzi la retorica della denazificazione dell’Ucraina. E come è possibile che questo racconto regga nonostante l’Ucraina abbia un presidente ebreo. L’intera identità russa, risponde l’intellettuale che per prima ha denunciato i disegni criminali del nuovo zar del Cremlino, “è costruita a partire dalla Seconda guerra mondiale, o come la chiamano i russi: la grande guerra patriottica che è servita alla Russia contemporanea per giustificare tutto”. Quando sceglie di combattere una guerra, aggiunge Gessen, “la Russia deve combattere la Seconda guerra mondiale, che era una guerra contro i nazisti; la cosa incredibile è che oggi gli ucraini stanno combattendo una grande guerra patriottica, quindi sono i russi a comportarsi da nazisti”.

Alberto Melloni, su Repubblica, riflette sul possibile ruolo delle chiese orientali: “Là dove tutti i cristiani hanno ucciso altri cristiani (e tutti perseguitato gli ebrei) arruolare le chiese non è scandaloso, né per l’aggredito né per l’aggressore: il problema è riuscirci”. Obiettivo “non pienamente raggiunto in Russia, dove una parte del clero ha reagito all’allineamento del patriarca al Cremlino”. Plausibile invece, sostiene lo storico della Chiesa, per Zelensky.
Tra le città al centro dell’attenzione c’è Odessa, la perla del Mar Nero. “A Odessa – si legge sulla Stampa – statue di Stepan Bandera non ci sono e non ci saranno mai”. Nell’articolo si ricorda poi come la percentuale della sua popolazione ebraica sia stata “ridotta enormemente dallo sterminio nazista”. Oggi invece, si legge ancora, “gli abitanti ebrei sono perfettamente integrati e molto influenti negli affari e nella vita culturale”. Un passaggio infelice sia per il riferimento agli “affari” che potrebbe essere male interpretato sia perché non risulta che la Shoah sia stata una questione, per così dire, di mancata integrazione.

Sul Fatto Quotidiano un nuovo inquietante intervento del generale Fabio Mini, incentrato stavolta sulle milizie nazionaliste (una forte minoranza) al servizio di Kiev. Per queste forze, sostiene, “la nostra stampa ha inventato la categoria dei ‘nazisti patrioti e perbene’ che, proclamata da membri della comunità ebraica, non suona affatto bene”. 

È di quattro morti e numerosi feriti il bilancio dell’attacco terroristico compiuto a Beer Sheva da un simpatizzante dell’Isis che aveva già trascorso alcuni anni in carcere a causa della sua affiliazione al radicalismo islamico. Appena poche ore prima, evidenzia il Corriere, il Primo ministro israeliano Naftali Bennett “aveva discusso di un possibile aumento della violenza” in arrivo. L’ultimo episodio di una serie vista con allarme anche dall’intelligence. Negli scorsi giorni due militari e un civile erano stati accoltellati a Gerusalemme. Un indizio, per il Foglio, del fatto che il jihad contro Israele starebbe rialzando la testa “dopo mesi di sonnolenza”. Fino all’attentato i media, almeno in Israele, erano focalizzati sull’incontro a tre fra Bennett, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi e il principe degli Emirati Mohammed bin Zayed. Per Avvenire “una riunione di concertazione, per certi versi dal sapore storico”.

Giancarlo Giorgetti, il ministro dello sviluppo economico, sarà in Israele a inizio aprile. In agenda, scrive Repubblica, “incontri istituzionali e con le aziende tech”. Un tema di confronto sarà anche l’Eastmed pipeline, e cioè “il progetto da sei miliardi per la costruzione di un gasdotto per portare il metano da Israele all’Europa, passando per Cipro e Grecia”. Un progetto verso il quale in passato “anche Roma aveva mostrato interesse ma che sembrava accantonato dopo una frenata degli Usa all’inizio di quest’anno”. A ravvivare l’attenzione “l’urgenza di superare la dipendenza dal gas russo”.

Su Avvenire la cronaca di un incontro sul dialogo ebraico-cristiano tenutosi negli scorsi giorni a Venezia. Tra le figure chiave approfondite quella dell’ex presidente UCEI Amos Luzzatto.

Presentato a Roma La scelta, il nuovo libro di Walter Veltroni. Tra il pubblico, segnala il Messaggero, la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e il suo vice Ruben Della Rocca.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(23 marzo 2022)