Macron vs Le Pen,
un nuovo duello

L’esito del primo turno delle presidenziali francesi fa tirare un sospiro di sollievo a chi, in Europa, temeva un’affermazione di Marine Le Pen. Un pericolo che sembra più lontano, anche se non del tutto scongiurato. “Un nuovo duello ‘Progressisti contro Populisti’ come nel 2017. Una partita di ritorno Macron-Le Pen densa di incognite in un Paese che vive una forte crisi democratica confermata dall’alto tasso di astensione”, la sintesi di Repubblica. Nel suo intervento Macron ha descritto la sua idea di Paese, sottolineando tra gli altri anche questo concetto: “Siamo la Francia che lotta contro il separatismo islamista ma consente a tutti di professare la propria religione. Non siamo noi che impediamo ai musulmani e agli ebrei di pregare e di mangiare come vogliono”. Racconta il Corriere, riportando le impressioni dei due schieramenti: “È una Marsigliese di sollievo, quella che risuona alla Porte de Versailles, dove sono riuniti i sostenitori del presidente. Ed è una Marsigliese tronfia ma velata di delusione, quella che intonano i militanti di Marine Le Pen alla Porte de Vincennes, nella periferia popolare di Parigi”. Per Le Pen resta il risultato più significativo della sua storia di candidata. “È chiaramente xenofoba, perché la sua politica riguardo agli stranieri è estrema. E sull’antisemitismo riesce a nascondere bene le cose” l’analisi di Jacques Attali, intervistato dalla Stampa. “Globalmente – aggiunge l’economista e politologo – ha solo la fortuna di essersi ritrovata accanto qualcuno come Eric Zemmour, che l’ha fatta sembrare meno di estrema destra”.

“È il paradosso della storia. Più di 80 anni fa mio nonno scappò in Ucraina dalla Germania per mettersi in salvo. Io poche settimane fa ho fatto il percorso inverso per salvare 220 orfani della mia comunità”. È la testimonianza di rav Avraham Wolff, rabbino capo di Odessa, al Corriere. Odessa nervosa. Odessa confusa. Odessa, si legge ancora, “che festeggia la liberazione e che odia chi la rese possibile”. Era il 10 aprile del 1944, infatti, “quando la bandiera sovietica veniva issata sull’Opera dopo che le truppe russe avevano strappato le svastiche”. Il rav ricorda come la Shoah resti qualcosa di unico. Ma allo stesso tempo evidenzia come le fosse di Bucha rappresentino “una linea rossa, per noi e per tutto il mondo”.
Trentacinque anni fa moriva a Torino Primo Levi. La Stampa lo ricorda con un suo testo del gennaio del 1987 sulla realtà differente di gulag e lager. “Il primo – scriveva Levi – era un massacro fra uguali; non si basava su un primato razziale, non divideva l’umanità in superuomini e in sottouomini: il secondo si fondava su un’ideologia impregnata di razzismo”.

Sul Foglio alcuni numeri provano a descrivere la situazione d’Israele. Tra gli altri 10, come i mesi “che ha resistito il governo Bennett, composto da destra religiosa, destra nazionalista, centro, sinistra e musulmani conservatori”. E 14, “il numero di persone uccise in poco più di due settimane” nell’ultima spirale di attacchi terroristici. Su Domani un’apertura del politico libanese Gebran Bassil a possibili accordi con lo Stato ebraico. L’attuale negoziato in corso sulla demarcazione marittima sarebbe in questo senso “un’opportunità per aumentare la stabilità, la prosperità e la pace nella regione, invece di alimentare conflitti ed estremismo”.

Messaggero e Corriere Roma danno risalto al ritorno in scena di uno spettacolo assai inquietante – Processo a Gesù di Diego Fabbri – che vede quattro reduci della Shoah intentare “in ogni luogo dove possono, in una scuola, in una fabbrica dismessa, in una palestra o in un teatro” tale processo. “Il rito del processo giudaico” lo definisce con sconcertante locuzione Geppy Gleijeses, il direttore del Teatro Quirino, intervistato dal Messaggero.

Sul Corriere Claudio Magris elogia Gli Effinger, la saga di una famiglia ebraica berlinese raccontata da Gabriele Tergit: “Evoca la città di quegli anni e la tradizione del grande romanzo”.

Tomaso Montanari, sul Fatto Quotidiano, esprime la sua contrarietà alla giornata in ricordo “della battaglia di Nikolajewka” di recente istituzione che si celebrerà a partire dal prossimo 26 gennaio: “L’ennesima mossa revisionista, ora con l’aggravante del nazionalismo”.

Il Corriere Roma anticipa alcuni temi della tredicesima edizione del Premio Guido Carli. Tra quanti hanno raccolto l’invito a presenziare in platea si fa il nome della presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(11 aprile 2022)