Ticketless – Federalismo pragmatico
Vorrei dare atto a Donatella Di Cesare. Le sue parole sono state travisate. Ho ascoltato in rete il suo discorso. Confesso però di non avere avuto la forza che ha avuto lei di seguire fino in fondo l’evento e mi scuso. Farei torto alla sua intelligenza se non pensassi che ha deciso di replicare qui, perché inascoltabili devono esserle sembrate molte delle voci risuonate lì.
Di Cesare parla di una guerra tra due nazionalismi e non, come penso io, una guerra asimmetrica fra un imperialismo espansivo e una nazione che si difende per conservare la propria integrità territoriale. Se, finita la guerra, Zelensky porterà il suo paese in direzione di un “nazionalismo che sulla base del sangue e del suolo fomenta violenza e odio” è possibile, ma non è detto. Chi sa dire se saranno maggioritarie forze ispirate ai criteri di un nazionalismo estremistico? Come fa a sostenerlo adesso con tanta sicurezza? Lo vedremo, mi sembra presuntuoso decidere quando in gioco è la sopravvivenza stessa dell’Ucraina. Del resto, anche nell’Italia alla vigilia del 25 aprile l’idea di nazione nella quale identificarsi era incerta. I partigiani comunisti non avevano la stessa idea di repubblica costituzionale degli azionisti o degli autonomi. Che ne sarebbe stato di loro (e di noi) senza la svolta di Togliatti a Salerno? Il confronto con la Resistenza italiana non è così surreale come Di Cesare vorrebbe. Le lotte di liberazione possono sempre avere fini imprevedibili. Una cosa però è sicura. Quando si combattono è sempre pretestuoso, da parte di chi non combatte, guardare dentro gli schieramenti di coloro che muoiono per liberare la propria terra.
Vorrei aggiungere una seconda riflessione: la diffidenza verso ogni forma di nazionalismo a me suona sempre sospetta. Non tutti i nazionalismi si fondano sul sangue e sul suolo. Aspirano a una nazione tutti i popoli oppressi, dai curdi ai palestinesi, le cui aspirazioni non mi sembra ricevano le stesse accuse accademiche di molti come Di Cesare turbati soltanto dal nazionalismo ucraino, figlio di un dio minore, a quanto sembra. Lo stato-nazione, nel bene o nel male, gode ottima salute perché è l’unico sbocco possibile per chi ha la sua terra invasa dallo straniero: un diritto per molti legittimanente sognato, non una colpa. E più quel diritto è calpestato, più l’idea di nazione si consolida. Gli universalismi sovranazionali (anche uno stato bi-nazionale israelo-palestinese) sono sempre seducenti sulla carta, ma utopistici: quelli che sono esistiti si sono dimostrati pericolosi, come la storia zarista e sovietica sta a dimostrare.
L’alternativa contro i nazionalismi fomentatori di violenza e di odio (da una parte) e le nostalgie imperiali di Putin (dall’altra) al momento mi sembra una sola. L’ha indicata, con la consueta stringatezza, Draghi nel discorso pronunciato a Strasburgo. Quello che dobbiamo rafforzare, ha detto, è il “federalismo pragmatico” dell’UE. Di Cesare non manca di notarlo, nella replica pubblicata qui, ma l’omaggio a Draghi si è ben guardata di condividerlo con Santoro. In quell’iniziativa, secondo me non è tanto grave che si sia parlato poco di Putin, ma che una valanga di ingiurie si sia riversata contro Draghi, “servo della Nato”. Qui, su Moked, cercando di spiegare perché è stata fraintesa, Di Cesare trova invece il coraggio che a teatro le è mancato.
Sarebbe bello invece che Di Cesare regalasse la sua vivace intelligenza a rafforzare questo federalismo pragmatico. Sarebbe bello se perdesse meno tempo in televisione e desse il suo contributo alla maturazione di un progetto ancora fragile e balbettante, lo stesso di Eugenio Colorni. Sarebbe bello che lo andasse a spiegare a Conte, ai lettori del Fatto Quotidiano, a Salvini, a Bianca Berlinguer, a Orsini, a Travaglio, a Vauro, a Celestini, a Santoro, a Ovadia e compagnia cantante.
Se queste cose avesse detto, temo non sarebbe uscita illesa dal teatro Ghione. Così, nemmeno riesco a immaginare quale sarebbe stata la sua infelice sorte, in teatro ieri, o domani negli studi televisivi, se la lezioncina sull’ebraismo come “tradizione in cui è inscritta la pace, quella che ha insegnato al mondo la democrazia” volesse impartirla non ai lettori di questo portale, che quella lezione bene conoscono, ma ai mille e mille sedicenti Partigiani della Pace.
Alberto Cavaglion