L’udienza in Vaticano
“Ebrei di Libia, voce da ascoltare”

Mai restare in silenzio davanti alle ingiustizie. Perché il vento cambi, al contrario, è essenziale denunciare, agire, mobilitarsi. Lavorare per un futuro diverso.
E il messaggio che il rabbino capo sefardita d’Argentina Isaac Sacca ha condiviso con papa Bergoglio durante un’udienza privata in Vaticano cui hanno preso parte esponenti ebraici argentini e brasiliani e che è stata l’occasione, nel quadro di un intenso scambio di idee, per presentare varie attività filantropiche a sostegno dei diritti dell’infanzia e dell’assistenza ai Paesi meno sviluppati di cui rav Sacca è il garante.
Nella delegazione ebraica anche David Gerbi, presidente dell’associazione Astrel promotrice in questi mesi di molte iniziative dedicate agli ebrei di Libia, alla loro storia e cultura (l’ultima appena pochi giorni fa al Tempio Beth El di Roma). Con Bergoglio il presidente di Astrel, che per Pagine Ebraiche ha raccolto ad oggi svariate decine di testimonianze di ebrei libici sul trauma del ’67 e sulla sua successiva elaborazione, ha affrontato tra gli altri un tema: quello del mancato riconoscimento dello status di “rifugiato” per chi visse sulla sua pelle il dolore dell’esilio. Dalla Libia e dal resto del mondo arabo.
“Siamo profughi dimenticati – ha scritto di recente – perché non abbiamo fatto abbastanza rumore. Il nostro silenzio deriva dal fatto di aver investito il tempo, le energie e gli sforzi per rifarci una vita in modo onesto e senza disturbare nessuno”. Ora però, dice, “è il momento di farci sentire”.
(Nell’immagine rav Isaac Sacca, papa Bergoglio e David Gerbi)