Yoav, il sorriso spezzato
Yoav Hattab aveva 21 anni, era nato e cresciuto in Tunisia ma si era trasferito a Parigi per lavorare. L’estate l’aveva trascorsa facendo il Taglit, il viaggio dedicato ai ragazzi ebrei che partono alla scoperta di Israele. Il 9 gennaio si trovava all’interno del supermercato Hypercacher di Porte de Vincennes e stava facendo gli ultimi acquisti prima dell’inizio dello Shabbat.
Yoav Hattab è stata una delle quattro vittime di Amedy Coulibaly, il terrorista legato ai fratelli Kouachi, che due giorni dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo è entrato nel supermercato tenendo in ostaggio per ore decine di persone e ha freddato anche il ventenne Yohan Cohen, Philippe Braham di 45 anni e Francois-Michel Saada di 64 anni.
Proprio alla drammatica storia del giovane è dedicato il documentario “Io sono Yoav”, che andrà in onda il 29 luglio su Rai 3 alle 23 e 40 per il ciclo Doc3, girato e autoprodotto da Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visintini e montato da Mescalito Sangiovanni.
“A noi piace pensare che, in qualche modo, la storia di Yoav chi abbia chiamate”, spiegano Amelia Visintini e Stefania Miretti sottolineando quanto sia stata forte l’esigenza di raccontare la vicenda sottraendola dai ritmi serrati della cronaca. L’idea di approfondire la vita di Yoav, continuano, è nata dopo aver ascoltato le dichiarazioni del padre, il rabbino tunisino Batou Hattab, direttore della scuola ebraica: “Siamo state conquistate dalla sua intensità, la sua pacatezza, la sua volontà di dialogo”.
“Questa storia ci ha colpito – prosegue Fedeli – anche per un particolare decisamente non trascurabile: Yoav era nato e vissuto in un paese arabo in pace e con decine di amici intorno, ed è morto nella Francia simbolo della democrazia occidentale; non è forse una situazione paradossale? Proprio nel nostro documentario viene ricordato come da Parigi il ragazzo si lamentasse perché veniva aggredito e deriso mentre indossava la kippah. La verità è che si sentiva davvero a casa solo quando tornava in Tunisia”.
Il documentario girato in Francia, Tunisia e Israele (dove è sepolto) raccoglie le testimonianze della famiglia Hattab e degli amici più cari, incastona ricordi, parole e voci sotto le immagini e i filmini che ritraggono Yoav. “Quello che vedrete – racconta Fedeli – sarà toccante senza essere struggente. Nessuno degli intervistati, dal datore di lavoro alla sua ragazza, ha pianto durante le riprese. Ma sono certa che la figura di Yoav riuscirà ad arrivare nel cuore di tutti. Era un ragazzo speciale, con una profonda spiritualità e una intensa voglia di vivere. E fino all’ultimo si è dimostrato un eroe: secondo le ricostruzioni sarebbe stato lui a risalire dalla cantina dell’Hypercacher nella quale si era rifugiato per non abbandonare gli altri e avrebbe parlato in arabo con Coulibaly per tentare di farlo ragionare”.
“Io sono Yoav” farà poi luce sulla comunità ebraica di Tunisi, i cui numeri si sono enormemente ridimensionati nel corso degli anni ma che continua a sopravvivere: “Solo una piccolissima parte – dice Fedeli – continua ad essere attiva e celebrare funzioni”.
“Chi era Yoav? – si chiedono Miretti e Visintini – un ragazzo tunisino, un patriota tunisino come suo suo padre, che ha mantenuto la sua identità ebraica pur essendo perfettamente integrato nel paese d’origine. Era un ragazzo di pace, grande esperto di complessità: attraverso lui, abbiamo cercato di dare voce ai ragazzi ebrei maghrebini, i veri ‘Yoav’”.
Sul proprio profilo Facebook Yoav caricava foto di Gerusalemme abbracciato agli amici, scriveva lo Shema, bisticciava con un conoscente arabo sulla situazione mediorientale. Amava tantissimo la sua Tunisia e quando lasciava Parigi per tornare a casa scriveva: “Vado alla ricerca di un po’ di sole”.
“Questo documentario lo abbiamo girato e autoprodotto – concludono le tre autrici – perché volevamo raccontare la vicenda di Hattab e portarla avanti fino in fondo. E in questi mesi di viaggi da Tunisi a Gerusalemme, passando per Parigi, ci è sembrato quasi di riconoscerlo e ritrovarlo Yoav, quel ragazzo che si tuffava in piscina e cantava in sinagoga con la voce più bella tra tutte”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(27 luglio 2015)