Qui New York – Marijuana con marchio OU,
l’ok dei rabbini per l’utilizzo terapeutico

marijuanaLa Orthodox Union, l’ente più autorevole che determina la casherut dei prodotti (alimentari, ma non solo), ha dato il beneplacito per apporre il proprio marchio sulle medicine a base di marijuana dell’azienda farmaceutica Vireo Health di New York.
Uno storico traguardo che renderà per la prima volta possibile l’acquisto, solo per fini terapeutici, di marijuana riconosciuta come casher, ossia conforme alle regole ebraiche.
La Vireo Health fa parte delle cinque aziende farmaceutiche selezionate e autorizzate dopo l’emanazione della Compassionate Care Act, la legge portata avanti dal governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo per sponsorizzare e riconoscere l’utilità dell’uso di questa specifica droga leggera per i pazienti affetti da malattie come l’HIV, il cancro o l’epilessia.
“Questo annuncio – ha dichiarato l’amministratore delegato della Vireo, Ari Hoffnung – manda un messaggio importante ai newyorkesi di tutte le fedi e riconosce che usare la marijuana per scopi medici non ha alcun legame con la ‘cultura delle canne’. I pazienti non si devono sentirsi minimamente in colpa o vergognarsi se a prescriverlo sono i loro dottori”.
Il marchio verrà apposto sulle cartucce che fanno da ricambio per il vaporizzatore, l’olio e le capsule (dunque ben lontano dall’immaginario comune della canna da fumare) e già da gennaio, secondo il comunicato rilasciato ieri, sarà possibile acquistare i prodotti presso i rivenditori autorizzati che apriranno a White Plains, Queens, Binghamton e Albany, presentando la ricetta. “Siamo molto felici di poter dare la certificazione casher alle medicine della Vireo – ha comunicato rav Menachem Genack, amministratore delegato della OU – esse sono sviluppati al fine di alleviare il dolore secondo il programma del Compassionate Act”.
“La priorità dell’ebraismo – continua rav Genack – è la salute ed è proprio la religione a incoraggiare l’uso di medicine che migliorino il nostro stato o riducano il dolore. La prescrizione della cannabis non deve essere visto come un peccato ma anzi come una mizvah, una regola imperativa, un comandamento”.
Una posizione conforme a quanto dichiarato a Pagine Ebraiche, mentre il dibattito era ancora nel vivo della sua azione, dal rabbino capo di Roma e vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica Riccardo Di Segni e dal coordinatore del Collegio Rabbinico italiano e biologo del Cnr rav Gianfranco Di Segni .
“Sul piano scientifico, se usato nei limiti del farmaco – spiegava rav Riccardo Di Segni – l’utilizzo della marijuana è consentito, sul piano voluttuario è invece tutto da discutere. Di certo qualunque cosa dia dipendenza è da escludere”. Il rav metteva in guardia inoltre su un altro pericolo concreto legato alla cannabis: “Per quanto riguarda la marijuana, infine, bisogna considerare che essa porta dietro di sé una cultura, è un simbolo. Un simbolo che poco si sposa con i valori dell’ebraismo”.
“Se consideriamo l’assunzione di marijuana per fini terapeutici – ci ha spiegato rav Gianfranco Di Segni – la bioetica risponde positivamente. Per l’ebraismo è permesso infatti prendere medicine che allevino la sofferenza, il dolore è considerato alla stregua di una malattia e quindi deve essere curato. Sono permesse, in casi estremi, le terapie anti-dolore anche quando esse possono direttamente o indirettamente accorciare la vita del paziente (come nel caso della morfina). In materia di casherut, l’assunzione della droga leggera in quanto farmaco per endovena non pone problemi. Diverso è il caso se la medicina viene ingerita per via orale e se ne sente il sapore. In questo caso c’è la necessità di una certificazione della rabbanut”.
“Quando parliamo di marijuana fumata per puro diletto – ci viene ancora spiegato – invece la risposta è negativa. Per l’ebraismo è assolutamente vietato fare azioni che potrebbero compromettere la salute e questo vale anche per sigarette e alcolici. In definitiva a guidare la scelta è il benessere inteso come rispetto per il proprio corpo”. L’uso voluttuario della droga leggera è infatti al centro del dibattito da decenni tra i rabbanim, a partire dal fondamento del rav Adin Steisaltz: “Rispetto all’uso di droghe leggere – le sue parole – tutto sta a capire chi è lo schiavo e chi il padrone. Se sei te ad essere il padrone, ok. Se sei schiavo, e non importa di cosa, abbiamo un problema”.
E così, mentre l’America si prepara ad accogliere i primi prodotti farmaceutici a base di cannabis con marchio OU, Israele continua ad essere uno dei centri di ricerca più all’avanguardia sulle sue proprietà curative. L’appuntamento è per il prossimo 7 marzo 2016 con una nuova edizione Canna Tech Israel, la conferenza internazionale che riunirà a Tel Aviv specialisti e luminari del settore. Ad essere protagonista, lo scorso anno, era stato il celebre professore statunitense Alan Shackelfold che aveva esordito riconoscendo il primato del Paese. “Israele è un bastione della ricerca sui cannabinoidi”, aveva infatti dichiarato al Washington Post. Ed effettivamente a parlare sono come sempre i numeri: dal 2000 al 2012 i pazienti israeliani che avevano la ricetta erano 9mila, in un anno sono saliti a 11mila fino ad arrivare a 16mila nel 2015.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(31 dicembre 2015)