Memoria 13 – Quelle parole che tornano in vita
C’era una volta una città polacca di nome Bialystok, in cui vivevano centomila persone, di cui sessantamila ebrei. La vita ebraica fioriva ed essi erano orgogliosi di appartenervi.
Il 27 giugno 1941 i nazisti conquistarono la città, ed essa divenne teatro di indicibili orrori. Già nei primissimi giorni dell’occupazione tedesca furono uccisi migliaia di ebrei. Duemila persone, tra cui donne e bambini, furono rinchiuse dentro la sinagoga, interamente di legno, a cui venne appiccato fuoco. Morirono arsi vivi.
Di sessantamila persone, di quella comunità così fiorente e dinamica, alla fine della guerra, i superstiti furono meno di mille. Ciascuno di coloro che vennero annientati aveva un nome e una storia. Dei sogni e degli affetti. Tutto fu cancellato dalla furia nazista.
Uno dei duecento ebrei di Blalystok che tornarono dai campi di sterminio si chiamava Rafael Rajzner.
Rajzner aveva assistito alla brutale e sistematica liquidazione del ghetto. Si era nascosto con la moglie e i due figli. Scoperto, era stato rinchiuso in una prigione della Gestapo, dove fu torturato e si vide portare via il figlio senza potergli dire addio. Poi fu deportato nei campi di Stutthof, Auschwitz, Sachsenhausen, in cui venne arruolato dalle SS per falsificare sterline nell’operazione Bernhard, e infine Mauthausen.
Per evitare che la storia della città di Bialystok cadesse nell’oblio e perché quegli ebrei uccisi non rimanessero soltanto dei numeri, Rafael Rajzner, spogliato di tutto tranne che dei ricordi, comprese che era necessario lasciare al mondo la propria testimonianza.
Giunto nel sud Italia, poi a Roma con la nuova moglie e i due figli del primo marito di lei, anche loro reduci dai campi nazisti, Rajzner cominciò a scrivere, freneticamente, tutto ciò che aveva visto, gli orrori a cui aveva assistito. Ciò che più gli stava a cuore, era ricordare i nomi di chi non era tornato, i mestieri, gli indirizzi, la loro vita insomma.
Quando i figliastri Danuta e David decisero di emigrare in Australia, l’unico Paese considerato sufficientemente lontano dall’Europa per cominciare una nuova vita, la moglie Gusta lo convinse a seguirli.
Fu proprio a Melbourne che il suo libro “L’annientamento degli ebrei di Blalystok” (“Der Umkum Fun Byalistoker Yidntum”) fu pubblicato, in yiddish, nel 1948.
Oggi Danuta ha settantanove anni e ricorda Rafael Rajzner come un uomo alto e di bell’aspetto, eppure oppresso dal terribile fardello che si portava dentro: “Rammento che a Roma rimaneva per interi pomeriggi da solo, a scrivere in una stanza assolata, nonostante lo esortassimo a uscire con noi, completamente immerso nei suoi appunti e nei suoi ricordi.”
Forse Rajzner sentiva di non avere il tempo dalla propria parte. Morì infatti nel 1953 stroncato da un attacco di cuore, e la sua opera, in anni in cui il mondo non dimostrava ancora interesse per la Shoah e le sue aberrazioni, venne dimenticata.
Ma una copia de “L’annientamento degli ebrei di Blalystok” rimase nella biblioteca di Lonek Lew, ebreo originario di quella città giunto a Melbourne nel 1947, dopo aver trascorso la Guerra a Mosca, dove casualmente si trovava insieme alla moglie Genia al momento dell’invasione nazista.
Sei anni fa Lonek, ormai novantacinquenne, decise di mostrare quel libro a suo figlio Harry (nell’immagine a fianco) e di raccontargli la storia dell’uomo grazie al quale aveva scoperto il destino dei suoi familiari rimasti a Blalystok, la città dal “cuore d’oro”, che lui continuava a considerare “più sofisticata di Melbourne o Sidney, spiacente dirlo”.
E Harry, oculista, comprese che quella storia, quella gente, meritasse di essere conosciuta da un pubblico ben più vasto di quello che aveva potuto raggiungere un libro in yiddish pubblicato nel lontano 1948.
Per prima cosa era necessario tradurre “L’annientamento degli ebrei di Blalystok” in inglese.
“Il mio yiddish non era abbastanza buono, e chiedere ad un traduttore professionista di occuparsi di un intero libro, così drammatico, sarebbe stato troppo oneroso.” racconta Lew “Alla fine mi venne l’idea di dividerlo in sezioni da dieci pagine ciascuna, e mi rivolsi a una cinquantina tra i più famosi traduttori di yiddish in tutto il mondo, chiedendo a ognuno di tradurne una parte, gratuitamente.”
Dei trentatre necessari per completarlo, ventidue accettarono immediatamente, e molti si offrirono di occuparsi di sezioni anche più lunghe, l’opera fu in breve completata.
Il libro, intitolato “The stories our parents found too painful to tell” (Le storie che i nostri genitori ritennero troppo dolorose da raccontare), è stato stampato a spese di Lew, e sarà disponibile ad aprile di quest’anno.
Dopo sessant’anni le parole di Rafael Rajzner prenderanno nuovamente vita, e potranno raccontare a tutti coloro che vorranno ascoltare, le storie di Bishka Zabludowsky, venditore di giornali, Note Jacobson, contabile, del Dottor Krakowski, di Chaim-Zvi, noto giocatore di scacchi, di Poliak, che possedeva la farmacia nella strada del rabbi, di tutti coloro che Rajzner, grazie alla sua volontà, ha saputo salvare dall’oblio.
Rossella Tercatin
Memoria 1 – Annette Wieviorka: La Storia serve per agire nella società
Memoria 2 – Loewenthal: Una Storia ebraica senza lo sfregio della Shoah
Memoria 3 – Anna Foa: Attenti ai rischi di istituzionalizzare quello che è stato
Memoria 4 – ‘Dopo l’ultimo testimone’ Non basterà dire: “Mai più!”
Memoria 5 – Alessandro Schwed Dobbiamo ricostruire le emozioni
Memoria 6 – “La stella di Esther”, la persecuzione raccontata in un fumetto
Memoria 7 – Renzo Gattegna: “Aiuta tutti a non dimenticare”
Memoria 8 – Claudio Magris: “Gli ebrei parlano a nome di tutti”
Memoria 9 – Marcello Pezzetti: “In Italia manca ancora una presa di coscienza”
Memoria 10 – “Il libro della Shoah italiana”. Lo sguardo dei perseguitati e il loro sentire
Memoria 11 – Furio Colombo “Il 27 gennaio serve ancora?”
Memoria 12 – Helen Epstein. Il trauma delle generazioni successive
Memoria 14 – Alberto Cavaglion. Il prezioso diario di Hélène Berr