Libertà di culto, rispetto della memoria

I pareri riguardo all’opportunità dell’apertura di una moschea in prossimità di Ground Zero, com’è evidente, appaiono nettamente divisi tra favorevoli e contrari, senza spazio per sfumature, distinguo o posizioni intermedie. Nel formulare una nostra opinione, chiariamo innanzitutto che entrambe le posizioni appaiono sostenute da validi e apprezzabili argomenti. Da una parte, infatti, il sacro principio della libertà di culto e di pensiero – fra i valori fondanti della grande democrazia americana -, e anche la giusta preoccupazione di “non darla vinta” ai terroristi, rifiutando – come ben argomentato, su l’Unione informa, il 27 agosto, da Anna Segre – di accettare l’equazione per cui tutti i musulmani dovrebbero essere guardati con diffidenza e sospetto, in quanto potenziali terroristi, o comunque contigui al terrorismo. Dall’altra, l’altrettanto importante esigenza di rispettare il dolore dei familiari delle vittime e di tutta la nazione, rifiutando un’opzione dall’indubbio impatto simbolico ed emotivo, che potrebbe comunque essere vista come una forma di provocazione.
A nostro avviso, invocare la questione della libertà di culto è fuori luogo, giacché nessuno la ha mai messa in discussione. Il problema, del tutto diverso, è esclusivamente di sensibilità etica e civile, e si può sintetizzare in due distinte domande: è lecito, è ammissibile considerare l’apertura di un luogo di culto, sia pure in un luogo particolare, come offensiva, o comunque inopportuna? Ed è giusto lasciare l’ultima parola, in materie così delicate, a chi abbia direttamente sofferto, sulla propria pelle, per un terribile atto di violenza?
Personalmente, darei a entrambe le domande una risposta positiva. Ritengo giustificabile, infatti, che la presenza di una moschea, nei pressi della voragine di Manhattan, possa rievocare l’orribile strage, in quanto la matrice di questa, piaccia o non piaccia, è stata, indubbiamente, islamica. Sarebbe sbagliato, certo, incolparne collettivamente tutti i musulmani, ma altrettanto forzato appare il considerare gli attentatori come una scheggia completamente isolata e marginale dell’Islam. Non dimentichiamo che, la sera dell’11 settembre, non poche piazze islamiche, anche in paesi cosiddetti moderati, alleati dell’America, si sono riempite di folle esultanti. Non è un ricordo piacevole, ma non per questo deve essere rimosso o cancellato. “Chissà – si chiede, su l’Unione informa del 19 agosto, il Tizio della Sera – se saremmo favorevoli alla costruzione di un sacrario dedicato ai soldati tedeschi morti nella Seconda guerra mondiale, proprio accanto all’entrata di Auschwitz”. Eppure, anche in questo caso si potrebbe eccepire, e con buone ragioni, che non tutti i soldati tedeschi erano degli aguzzini o dei criminali.
Resta la seconda domanda: andrebbe riconosciuto, ai parenti delle vittime, una diritto privilegiato di tutela del lutto e della memoria? A mio parere sì, andrebbe riconosciuto (in America come in Italia: le povere vittime del terrorismo nostrano, dimenticate da tutti…), ed è proprio questo che fa apparire criticabile la decisione del sindaco Bloomberg, avallata dal presidente Obama. È vero che tra i sottoscrittori di una petizione a favore dell’apertura della moschea figura anche un membro dell’Associazione dei parenti delle vittime dell’11 settembre. Una scelta personale, nobile e coraggiosa, che può essere ammirata, e va, comunque, rispettata. Ma andrebbe altrettanto rispettata la volontà della stragrande maggioranza dei parenti delle vittime, che sono fortemente contrari, per motivi altrettanto seri e rispettabili.

Francesco Lucrezi, storico