Lezioni apprese col sangue
L’attacco terrorista alla sinagoga di Roma fu un terribile momento di risveglio per l’ebraismo italiano e resta ancora un ammonimento per tutti noi. Che si colpisse la sinagoga più importante d’Italia, il simbolo dell’ebraismo italiano; che l’attacco avvenisse dunque su un obiettivo puramente religioso e non politico; che le istituzioni si fossero dimostrate incapaci di tutelare la vita degli ebrei e mostrassero una sostanziale indifferenza, che questo atto atroce fosse stato preceduto di pochi giorni da un corteo sindacale anti- israeliano con la simbologia truce di una bara portata a due passi dallo stesso Tempio poi insanguinato dai terroristi, in un modo che era inevitabile leggere come legittimante l’atto terrorista; che in breve giro di tempo altri attentati si succedessero, come quello particolarmente efferato di Fiumicino (1985) e altri gesti di distacco, come la scelta inedita di Pertini di registrare il messaggio di capodanno accompagnato da un bambino palestinese (1983): tutta questa costellazione di fatti aperta dall’assassinio del piccolo Stefano Gay Taché diede all’ebraismo italiano, o almeno a buona parte di esso, il senso del fallimento non del rapporto con la comunità nazionale in cui continuava ad essere bene inserito e bene accetto, ma della rappresentanza politica che aveva perseguito dalla Resistenza in poi.
Semplificando e radicalizzando un po’, si può dire che la lezione della Shoah era stata compresa finora dal vertice intellettuale e politico dell’ebraismo italiano nel senso che i pericoli per l’ebraismo e gli ebrei venissero tutti e solo da destra e dal clericalismo; che dunque lo schieramento di sinistra fosse la collocazione naturale degli ebrei, naturalmente anche per la sensibilità sociale della nostra tradizione, ma soprattutto perché “mai più” si ripetesse la Shoah. C’erano state avvisaglie: l’antisemitismo dell’ultimo periodo di Stalin, la posizione del “campo socialista” contro Israele nelle guerre del ’67 e del ’73, l’alleanza sovietica con la Siria e con l’Egitto. Ma ora si vedeva che qui, di fronte a un terrorismo diretto contro la vita degli ebrei, la politica non solo della destra e del centro cattolico era indifferente – e oscuramente si capiva già allora, più complice che indifferente, come sarebbe emerso dalle rivelazioni sul “lodo Moro”.
Ma anche la sinistra lo era o peggio, si schierava coi terroristi “simili a Mazzini e Garibaldi”, come disse qualche anno dopo Bettino Craxi in un discorso applaudito da tutto il Parlamento salvo repubblicani, radicali e liberali. L’ebraismo italiano, naturalmente non tutto, ma nella sua maggioranza, capì allora che non poteva separare il proprio destino da quello di Israele, né delegare a un generico schieramento a sinistra la difesa della propria identità e della propria vita, che i nemici non stavano solo a destra. Lezioni apprese con il prezzo del sangue, che oggi rischiano di nuovo di andare confuse in un ritorno all’ideologia, ma che abbiamo il dovere di non dimenticare.
Ugo Volli – twitter @UgoVolli
(Il numero di ottobre di Pagine Ebraiche in distribuzione contiene molti servizi legati al trentesimo anniversario dell’attentato alla sinagoga di Roma. Tra i vari interventi la densa riflessione del professor Ugo Volli che pubblichiamo oggi su l’Unione Informa)