Qui Milano – Kesher, la cultura che crea legami
Cosa bisogna intendere con la locuzione “cultura ebraica”? Quali le sfide di fare cultura all’interno di una Comunità? E quali le opportunità e le difficoltà del raccontare la cultura ebraica alla società? A questi interrogativi è stata dedicata la serata conclusiva per la stagione 2012-2013 dell’associazione Kesher. Un gruppo che ha proposto, nel corso di tutto l’anno, incontri settimanali dedicati alle tematiche più diverse, dalle festività ebraiche al rapporto tra sinistra italiana e Israele, dai canti sinagogali alle suggestioni tra arte ed ebraismo, dalla bioetica al negazionismo, sotto la guida di rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che dal 2011 opera a partire da Milano, e il coordinamento della responsabile Paola Hazan Boccia.
A portare, in apertura dell’incontro, che è stato preceduto da una degustazione di vini, una riflessione sul significato del termine kesher (legame) è stato il rabbino capo Alfonso Arbib. “Il popolo ebraico ha la particolarità di non essere nato su una terra, di non essersi caratterizzato geograficamente, ma con la Torah e attraverso la Torah. Per questo, è importante ricordare che se sparisce il legame del popolo ebraico con il monte Sinai, sparisce la sua stessa ragione d’essere – ha spiegato il rav – Penso sia importante tenerlo presente anche quando facciamo cultura ebraica” ha concluso, riallacciandosi alle tematiche della discussione. Tematiche rese ancora più attuali dal grande progetto lanciato in queste settimane dalla Comunità ebraica di Milano, il festival Jewish and the City, che dal 29 settembre (Giornata europea della cultura ebraica) fino al 1 ottobre coinvolgerà numerose location del capoluogo lombardo in una sorta di Quadrilatero tutto speciale, tra la Sinagoga centrale, la Biblioteca Sormani, l’Università degli Studi, il Teatro Franco Parenti, con una propaggine ideale presso la Fondazione Corriere della Sera, nel raccontare uno dei pilastri della tradizione, lo Shabbat. “Shabbat. Spazio al tempo” è infatti il tema prescelto per questa prima edizione della rassegna, che si vuole trasformare in un appuntamento fisso che offra ogni anno ai milanesi l’occasione di scoprire l’ebraismo al di là di luoghi comuni e stereotipi. A raccontare il progetto sono stati alcuni esponenti del comitato di lavoro, l’assessore alla Cultura Daniele Cohen, David Piazza della casa editrice Morashà, la giornalista scientifica Daniela Ovadia, lo storico delle idee David Bidussa, oltre allo stesso rav Della Rocca (presenti in sala, tra gli altri, il presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, e il vicepresidente UCEI Roberto Jarach). “Generalmente quando l’ebraismo e gli ebrei si raccontano alla società, lo fanno attraverso quei paradigmi che gli altri si aspettano da noi: la Memoria della Shoah, il legame con Israele. Con questo progetto lavoriamo invece per proporre una cultura e una specificità che sia autorevole e auto reggente e che rappresenti la vita ebraica per quello che è davvero. Lo Shabbat in questo senso è il paradigma più caratterizzante dell’ebraismo” ha spiegato il direttore del Dec.
“In questi tre anni di lavoro come assessore alla Cultura, la mia prima linea guida è stata quella di dare voce a tutti – ha sottolineato Cohen – Abbiamo avuto decine di interventi delle personalità più diverse, grandi rabbini e Maestri, scrittori, artisti, filosofi e penso che Kesher sia un perfetto esempio di tutto questo. A mio parere non esiste e non deve esistere la dicotomia tra studio della Torah e cultura ebraica laica, perché dallo studio della Torah non si può prescindere ma allo stesso tempo esso si declina in molti modi, e ciascuno è in grado di dare il suo contributo”.
Ad affrontare poi alcune delle sfumature che caratterizzano Jewish and the City e a discuterne con il pubblico sono stati Bidussa, che ha parlato dell’importanza del messaggio di ciò che lo Shabbat può rappresentare in una società come quella moderna, Piazza, che ha auspicato una condivisione dei differenti modi di vivere lo Shabbat delle anime della Comunità e Ovadia, che ha messo in evidenza le grandi possibilità offerte dalla riflessione sul tema anche in ambiti inaspettati, come la concezione dello spazio e del tempo nella tradizione ebraica e il suo rapporto con quella scientifica.
Una la speranza comun:, che questa festa della cultura possa offrire ai membri della Comunità così come ai cittadini milanesi il gusto di confrontarsi, di approfondire e di stare assieme.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(11 giugno 2013)