Qui Milano – Jewish and the City. Raccontare lo Shabbat alla città
Ha preso simbolicamente il via a Palazzo Marino la missione di Jewish and the City, il grande festival internazionale di cultura ebraica che si svolgerà a Milano tra la sera del 28 settembre e il 1 ottobre organizzato dalla Comunità ebraica e dal Comune: raccontare e far conoscere lo Shabbat, la molteplicità dei suoi significati, e soprattutto il senso profondo del riposo e della disconnessione, alla città più frenetica d’Italia. Proprio la disconnessione ha rappresentato uno dei fili conduttori della partecipata conferenza stampa nella Sala dell’Orologio, evento che ha infatti rappresentato non soltanto l’occasione per illustrare il programma della rassegna e suoi ospiti, ma innanzitutto il suo spirito, la genesi e il concetto stesso di Shabbat da cui tutto è partito.
“Non in un luogo il popolo ebraico ha nei millenni riposto la sua identità– ha spiegato il direttore scientifico del festival rav Roberto Della Rocca, che guida il Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – Non in un monumento o in uno spazio fisico, ma in un tempo, quello dello Shabbat, osservato nei secoli dagli ebrei di tutto il mondo negli stessi istanti, un luogo da portare sempre con noi. E così oggi, se nei programmi delle scuole italiane siamo abituati a incontrare il popolo ebraico insieme agli egizi e agli ittiti, e poi stranamente a ritrovarlo durante la seconda guerra mondiale, oggi siamo qui invece per raccontare l’ebraismo vivo e la sua quotidianità”.
A intervenire nel corso della presentazione introdotta dalla curatrice del festival Valeria Cantoni, sono state molte delle sue diverse anime. Gli assessori alla cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno e della Comunità ebraica Daniele Cohen, Andrée Ruth Shammah, ospite d’eccezione di molte iniziative nel Teatro Franco Parenti da lei diretto, l’ex magistrato e presidente Garzanti libri Gherardo Colombo, che sarà uno dei protagonisti del festival nell’incontro Etica e norma in programma domenica 29 settembre, Vittorio Meloni e Stefano Lucchini, in rappresentanza di Eni e Intesa San Paolo, tra gli sponsor del festival. Presente in sala anche Roberto Jarach, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alla Giornata della cultura ebraica (che a Milano viene abbracciata e ampliata nel festival), il presidente della Comunità di Milano Walker Meghnagi e il rabbino capo Alfonso Arbib.
Grande apprezzamento espresso da Del Corno, che si è soffermato sulla profonda milanesità di una rassegna che coniuga la città e le sue risorse a un respiro profondamente internazionale, e che fa della multidisciplinarietà un punto di forza. “Una dimensione dal sapore ‘glocale’ che rappresenta il nostro impegno nella direzione dell’Expo”.
“Coraggioso, emozionante, generoso” questi gli aggettivi che Cohen ha scelto per descrivere Jewish and the City, raccontando i particolari della sua elaborazione e le intelligenze coinvolte, allo scopo, ha spiegato, di donare qualcosa alla città, di divertire il pubblico ma anche regalare qualche motivo per riflettere, con una grande attenzione alla trasversalità. “Siamo grati e orgogliosi di essere qui dopo due anni di lavoro. Qui per un’edizione numero zero, che rappresenta anche un appuntamento verso il futuro” ha concluso.
E l’emozione di costruire e presentare un festival di Cultura ebraica insieme alle istituzioni della città di Milano è stata raccontata da Andree Ruth Shammah, che ha voluto ricordare come siano esistiti tempi in cui portare la cultura ebraica al pubblico rappresentava una sfida più complessa con problemi legati alla sicurezza, che lei stessa ha conosciuto nel suo lavoro a teatro. “Oggi vuol dire molto essere qui”.
“Sono entusiasta di avere l’occasione di affrontare l’eterno dilemma che rappresenta il binomio etica e norma, di affrontarlo con persone portatrici di prospettive così diverse, perché la diversità nutre le idee” le parole di Colombo.
A concludere la conferenza stampa una “parola di Torah” un davar Torah di rav Arbib “Nella Creazione, si racconta che dopo sei giorni di lavoro, D-o si riposò. Un grande Maestro dell’ebraismo sefardita spiega che questo svolgersi del tempo non deve intendersi soltanto in quel momento, ma in tutte le settimane. Shabbat è il tempo in cui ci si ferma, si riflette e si studia. Per poi ricominciare a creare, pensando in modo nuovo e diverso, come sempre avviene dopo aver studiato. Shabbat dunque come tempo per fermarsi e rinnovarsi. Un messaggio importante per tutti”.
(nell’immagine in alto il direttore scientifico del festival rav Roberto Della Rocca, l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica Daniele Cohen, la curatrice di Jewish and the City Valeria Cantoni e due membri del comitato promotore la regista Miriam Camerini e la scienziata Daniela Ovadia, in basso il tavolo dei relatori nel corso della conferenza stampa)
Rossella Tercatin twtter @rtercatinmoked
(16 settembre 2013)