Qui Milano – Anatomia di un pregiudizio
“I soliti ebrei”, questo il titolo della presentazione svoltasi ieri nei locali della Fondazione Corriere della Sera di Milano incentrata sulla ricerca qualitativa della sociologa del Centro di documentazione ebraica contemporanea Betti Guetta a proposito dell’immagine percepita degli ebrei italiani. “Titolo azzeccato, che intende sottolineare come gli archetipi del pregiudizio antiebraico restino invariati nonostante il processo di globalizzazione e multiculturalismo del mondo contemporaneo” ha sottolineato Stefano Jesurum, giornalista e coordinatore dell’incontro.
“Questa – ha spiegato la sociologa, che sul nuovo numero di Pagine Ebraiche presenta il suo lavoro – è una ricerca che mi porto nel cuore da molto tempo, perché dopo anni di studi sul fenomeno di tipo quantitativo, mi sono chiesta quali facce ci fossero dietro a quei numeri, e dunque mi sono rivolta all’analisi qualitativa”.
Creare degli schemi della diversità e suddividere il genere umano in gruppi minori a cui attribuire determinate caratteristiche – per lo più in difetto rispetto alla propria cultura – è una costante del genere umano, che permette di facilitare la comprensione del mondo esterno e dei suoi abitanti, come ha ricordato Milena Santerini, deputata e docente di Pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Così, ricorda ancora la Santerini – pur essendo divenuta la xenofobia una sorta di tabù impossibile da condividere ed esprimere a livello razionale e pubblico dal dopoguerra in avanti – la pedagogia scolastica e civile non sono state ancora in grado di trovare il giusto modo per avere un impatto significativo sul razzismo emozionale, ovvero sull’odio nei confronti dell’Altro che riaffiora puntualmente nei momenti di difficoltà di una società: “quando l’organismo-società si trova a dover far fronte ad un momento di crisi, il virus del razzismo riemerge ed investe proprio le parti più deboli del sistema, che nel nostro caso sono i giovani, i quali mostrano di avere un opinione più ostile nei confronti del gruppo ebraico italiano, e più in generale delle culture altre”.
Accade inoltre che l’opinione pubblica drammatizzi di volta in volta determinati fenomeni sociali e individui alcune fasce di popolazione come pericolose per il benessere comune: “si è passati per esempio negli ultimi dieci anni dalla criminalizzazione degli albanesi a quella dei rom, e poi ancora dall’omofobia al femminicidio”, ha affermato il sociologo e senatore Luigi Manconi, “mantenendo sempre una certa diffidenza nei confronti degli ebrei, visti come ricchi e potenti, e perciò in grado di gestire le economie mondiali a discapito dei più deboli”.
Interessante infine il contributo di Gad Lerner, che ha raccontato la sua esperienza di “ebreo nel web”, una piattaforma in cui grazie all’anonimato alcune persone possono facilmente sbarazzarsi dei tabù e delle censure ed esprimere con molta leggerezza le loro posizioni antisemite.
Diletta Carmi
Lo studio sull’immagine degli ebrei italiani elaborato dai ricercatori del CDEC
Italiano ma non completamente, molto solidale verso i suoi correligionari, ricco, avaro, religioso, potente, vittimista, questo l’identikit dell’ebreo disegnato dalla ricerca del Cdec L’immagine degli Ebrei. Ovvero: quanto sono resistenti, nel bagaglio culturale degli italiani, gli stereotipi e i pregiudizi classici sugli ebrei. Una fotografia che non ingiallisce mai. Aggettivi che non vengono aggiornati. La storia che non insegna nulla. Eppure sono passati più o meno 2200 anni da quando i primi ebrei si insediarono a Roma: tempo per conoscersi ce n’è stato, ma si continua a fare fatica a ragionare sull’ebreo della porta accanto, l’ebreo comune, contemporaneo, vivente.
INTERCETTARE I SENTIMENTI
L’obiettivo della ricerca è quello di indagare le conoscenze, le opinioni, i sentimenti che gli italiani hanno nei confronti di alcuni italiani: quelli di religione ebraica. Rispetto ai sondaggi che periodicamente vengono proposti sul tema, abbiamo scelto di non proporre una lista di stereotipi tra i quali scegliere, abbiamo pensato fosse meglio lasciare parlare liberamente gli intervistati, mettendoci in ascolto per cercare di capire anche dallo sguardo, dalla scelta di sostantivi e aggettivi, dai silenzi, quale fossero i sentimenti profondi. L’intento è intercettare la sfera emotiva soprattutto in una situazione sociale come quella attuale, fortemente mutata sotto la pressione delle nuove etnie, costretta a rivisitare i propri limiti geografici e culturali. Che cosa ne è uscito? La conoscenza degli ebrei e della loro storia italiana è scarsa e frammentaria e intrisa di pregiudizi, di luoghi comuni, di stereotipi. Alcuni dei quali millenari. Soprattutto gli ebrei suscitano ambivalenza: curiosità e distacco, vicinanza e lontananza, diffidenza e ammirazione. Raramente ostilità. Tanto che l’immagine che gli italiani hanno della “comunità ebraica” è quella di un gruppo con grande coesione interna che coltiva e conserva con determinazione la propria cultura e le proprie tradizioni. Un gruppo con un forte senso del lavoro, dell’impegno, della famiglia. Questa ricerca conferma l’assunto di Bauman sull’allosemitismo, ovvero la consuetudine di distinguere gli ebrei come un popolo radicalmente diverso dagli altri, che richiede concetti peculiari per descriverlo o comprenderlo, e un trattamento speciale riguardo alla maggior parte dei rapporti sociali, visto che i concetti normalmente impiegati nelle relazioni con altre persone o altri popoli non sembrano adeguati.
EBREI MILANESI VS EBREI ROMANI
Conta molto, ed è una prima riflessione importante da fare, il modo con cui storicamente le comunità ebraiche si rapportano con l’esterno, con il mondo circostante, con il tessuto sociale nel quale vivono. Basta mettere a confronto l’esperienza romana e quella milanese per rendersi conto di come la distanza sociale si articola in modo diverso. A Milano dove la comunità ebraica è più recente e meno numerosa, composta in maggioranza da ebrei provenienti dall’estero (negli ultimi trent’anni da Libia, Libano, Egitto, Iran) e in minoranza da ebrei italiani, emerge l’immagine di un gruppo molto coeso e poco permeabile. Qui la distanza è molta: il senso di comunità molto etnicizzata e legata alle tradizioni viene vissuto soprattutto come separatezza. Gli ebrei sono “altri”, sono “estranei”. Meno frequente anche la conoscenza personale diretta. Cosa che invece a Roma è molto più facile, a partire dall’alto numero percepito di commercianti ebrei che sono visti come protagonisti importanti della vita economica della città. La comunità ebraica romana infatti è molto antica, è molto numerosa, è percepita come parte della città. Il ghetto è un’istituzione nella cultura urbanistica cittadina. Così come le tradizioni ebraiche romane (basti pensare alla cucina) sono parte della cultura cittadina. Gli ebrei sono sentiti vicini per storia e religione, vengono collocati all’interno del perimetro identitario italiano “perché i cattolici derivano dagli ebrei”, dice un intervistato. A Roma non si enfatizza la chiusura da parte della comunità ebraica verso l’esterno, a Milano sì. A Roma gli ebrei sono considerati italiani tra gli italiani (anzi romani tra i romani), e quando si parla di comunità coesa, identitaria, solidale lo si fa guardando a un atteggiamento religioso più praticante, più serio, più impegnato degli ebrei rispetto ai cattolici. A Milano invece gli ebrei non sono così italiani, sono “vicini”, sono simili ma diversi. Il gruppo è percepito come compatto nell’osservanza dei precetti, chiuso per via delle rigide regole che prevedono l’endogamia e l’obbligo di frequentare scuole ebraiche.
RELIGIONE E SEPARATEZZA
Proprio la religiosità è uno degli aspetti più rilevanti emersi dalla ricerca: gli ebrei sono percepiti come un gruppo religioso molto praticante. La convinzione dominante è che la religione ebraica sia un insieme di vincoli e regole molto rigide, molto più dei precetti cattolici, e che la compattezza della comunità porti a un controllo sociale tanto intransigente da condizionare i comportamenti individuali. Ed è questa immagine quella che fa pensare agli ebrei come a un gruppo tendenzialmente chiuso, separato, solidale. Gli ebrei sono sì integrati nella società italiana, ma il desiderio di preservare tradizioni e religione li porta a essere riservati e appartati socialmente, poco inclini a mischiarsi. Il tema pregiudiziale della separatezza è delicato perché se, da una parte, da alcuni degli intervistati è letto positivamente come il legittimo desiderio (rispettato e ammirato) di preservare la propria identità comunitaria e religiosa, dall’altra parte è decodificato come atteggiamenti fastidiosi di superiorità di classe, di ceto, di cultura o come estraneità alla comunità nazionale fino a una sorta di volontà di occultamento di se stessi, e quindi di appartenenza a una società parallela, alla massoneria, a una lobby.
POTERI FORTI
Ricchi e avari: questi due stereotipi economici camminano di pari passo, sono molto radicati anche perché più antichi. La ricchezza degli ebrei viene correlata alla capacità imprenditoriale, abilità affaristica e alla dedizione al lavoro. L’ammodernamento di questo stereotipo è il talento nella ricerca e sperimentazione scientifica e tecnologica, e quello per l’arte. Ovviamente come viene aumentata la ricchezza? Grazie anche all’oculatezza. Anzi all’avarizia. E ovviamente non si può essere un uomo ricco senza essere anche un uomo di potere. Ecco allora che gli ebrei (tutti gli ebrei) oltre a vivere agiatamente occupano posizioni socialmente importanti. Un’idea condivisa tra gli intervistati che per i più aperti deriva da un mix di tenacia, competenza, eccellenza attribuite agli ebrei, mentre per altri è frutto dell’agire poco trasparente di un gruppo coeso che favorisce solo i propri membri. C’è una convinzione solida e diffusa della comunità ebraica come “società nella società”. E di un legame stretto, se non una identificazione, tra ebrei e “poteri forti”: come non ricordare che da qualche tempo a questa parte, grazie alla crisi economica e all’emergere del ruolo degli istituti di credito, sia tornato di moda lo scorgere un complotto giudaico dietro ogni sportello bancario e ogni azione politico-economica (governo Monti compreso)?
IL GIORNO DELLA MEMORIA
Il potere degli ebrei si evince anche, secondo alcuni intervistati dal fatto che le autorità cittadine intervengano alle celebrazioni del Giorno della Memoria o che partecipino alla Giornata della cultura ebraica. Ovvero la politica si sottomette al potere della comunità ebraica, la quale (ecco un altro pregiudizio duro a morire) fa la vittima sulla questione della Shoah. Colpisce che i più propensi a rilanciare questo tema siano i più giovani. Da una parte perché cancellano il ricordo della Shoah precipitandosi nell’attualità dello Stato di Israele parlando di “nazismo” aproposito della politica nei territori occupati, dall’altra perché la scuola sembra non offrire una formazione adeguata sugli anni immediatamente dopo la prima Guerra Mondiale. Sul tema della Shoah è emerso in modo evidente come gli intervistati più anziani abbiano una conoscenza e una memoria storica che li rende consapevoli delle persecuzioni subite dagli ebrei e comprendono quanto quella tragedia concorra a determinare ancora oggi senso di insicurezza e riservatezza, mentre i più giovani (20/35 anni) manifestano distacco e indifferenza. Così il Giorno della Memoria per quest’ultimi è solo una delle tante cerimonie commemorative, mentre per i più anziani è un momento utile anche se serve solo per ricordare ma non per educare a superare i pregiudizi.
ISRAELE
È il tema più moderno: i rapporti tra ebrei italiani e Gerusalemme. Ovviamente la problematicità è legata al conflitto con i palestinesi. Se infatti la percezione di un legame intenso tra la diaspora e lo Stato di Israele è considerata ovvia, le immagini di guerra, allerta, armi e divise, cadaveri, prigionieri favoriscono il prendere le distanze da una situazione straordinaria e drammatica. E, soprattutto, non alimentano un sentimento favorevole in ragione della storia passata, ma ne determinano uno critico a causa della storia presente. Anche qui sono abbastanza significative le differenze tra le diverse generazioni: più moderati gli anziani, più radicali i giovani. E c’è chi auspica un dissenso esplicito da parte degli ebrei italiani verso la politica israeliana: una posizione che contribuirebbe a diminuire le antipatie verso gli ebrei alimentate dal conflitto in Medio Oriente. Quello che colpisce dei risultati di questa ricerca è la distanza tra la realtà della diaspora ebraica e l’immagine della collettività agli occhi esterni. La complessità della comunità fatta di una moltitudine di punti di vista, di diversi gradi di osservanza religiosa, di stili di vita diversi a secondo delle origini etniche, di partecipazione comunitaria e di solidarietà legate più all’origine geografica che alla religione, è una dimensione che non viene assolutamente colta all’esterno. E ciò pone una domanda: è il tessuto sociale che è indifferente e poco curioso nei confronti del diverso? Oppure è la comunità ebraica che fatica ad aprirsi e a comunicare la propria immagine? Rimane il fatto che i caratteri immutabili, i pregiudizi e gli stereotipi che fissano l’ebreo – quasi ponendolo fuori dal tempo e dallo spazio – sono tanti. Paradossalmente viene da pensare che se la maggioranza degli intervistati avesse assistito ai dibattiti di una recente convention ebraica, il Moked di Milano Marittima, di fronte al tono della discussione e alla litigiosità tra le tante anime dell’ebraismo, non avrebbero creduto di trovarsi di fronte “agli ebrei”.
*NOTA METODOLOGICA SULLA RICERCA
La ricerca di tipo qualitativo ed è stata realizzata attraverso la tecnica dei focus group (discussione di gruppo a cui partecipano otto persone). I focus group combinano elementi dell’intervista individuale e dell’osservazione partecipante: si caratterizzano per l’esplicito uso dell’interazione di gruppo come strumento per la produzione e la rilevazione di informazioni. Il confronto con gli altri componenti del gruppo aiuta le persone ad acquisire maggiore consapevolezza. I partecipanti alla discussione possono esprimere liberamente ciò che pensano utilizzando il proprio linguaggio, in ciò aiutati dal fatto che entrano in relazione con persone a loro pari per età, stato sociale, livello culturale. Il reperimento e reclutamento dei partecipanti ai gruppi è stata affidata a una società di servizi esperta del settore. Per avere uno sguardo su realtà diverse in termini demografici, socio culturali e di presenza di comunità ebraica si è scelto di fare la ricerca in tre città: Milano, Roma e Verona, città che hanno una presenza ebraica molto diversa in termini numerici, storici e socioculturali. In ogni città si sono costituiti due focus group, uno di giovani e uno di maturi. Complessivamente abbiamo realizzato sei focus (otto partecipanti ognuno) per un totale di 48 intervistati.
Betti Guetta, sociologa, Pagine Ebraiche ottobre 2013
(17 settembre 2013)