Jewish and the City – Al Memoriale, per ricordare la resistenza dello spirito

memoriale“Il dono dello Shabbat non ha smesso di essere tale nemmeno nei lager, dove permetteva di sentirsi ancora degli esseri umani”. Così il direttore del Corriere della Sera e presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Ferruccio De Bortoli ha sintetizzato il significato del tema del festival Jewish and the City, lo Shabbat, nell’ambito drammatico delle persecuzioni razziste, introducendo ieri pomeriggio l’incontro La resistenza spirituale durante la Shoah, organizzato in collaborazione con L’associazione Figli della Shoah nell’auditorium del Memoriale, aperto per la prima volta al pubblico. Un tema importante che alla presenza in sala della sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz Liliana Segre e in un luogo così intriso di storia ha acquistato concretezza, esplorato attraverso la lettura di alcuni brani dal Diario di Etty Hillesum da parte dell’autore e germanista Roberto Cazzola e gli interventi di rav Giuseppe Laras, presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana, e Wlodek Goldkorn, responsabile culturale de L’Espresso. “Abbiamo aderito con grande entusiasmo a questa iniziativa del festival, cogliendo l’occasione per inaugurare questo auditorium, la parte del memoriale esposta alla città”, ha espresso Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano e vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sottolineando che “la vita della memoria è scandita dal Giorno della memoria, ci si pensa solo una volta all’anno, il 27 gennaio”. E così in un pomeriggio di ottobre rav Laras ha raccontato alcuni aneddoti personali, piccole storie di giustizia che testimoniano la verità dell’insegnamento midrashico che “in ogni generazione ci sono trentasei tzadikim, anche se per contrasto si pensa sempre anche ai malvagi”. E nella tragedia, in un momento in cui veniva negata la dignità di essere umano, c’era ancora chi pretendeva di continuare ad essere un uomo o una donna, e ci riusciva mantenendo vive la religione e la cultura. “Quegli uomini e quelle donne intuivano che in tempi di contraddizioni bisogna cercare di contraddire la contraddizione”. E queste parole di rav Laras sono state corredate da quelle di Goldkorn, che ha parlato delle storie di resistenza di due ghetti famosi, quello di Varsavia, dove “c’era gente che rinunciava anche a mangiare pur di poter leggere dei libri”, e quello di Vilnius, la culla della lingua yiddish, dove si musicavano i componimenti delle sue poetesse, che esprimevano la rabbia, i tormenti ma soprattutto la forza di chi vuole resistere.

Francesca Matalon

(2 ottobre 2013)