Qui Milano – Storia di una famiglia e storia d’Europa
“Quando si entra in questo genere di tunnel non se ne esce facilmente: io in fondo ho trovato mio nonno”. Così Tanya Beilin ha descritto ieri sera, nel corso di una presentazione alla scuola della Comunità ebraica di Milano, il lungo percorso di ricerca attraverso cui l’ha portata la lettura del diario di suo nonno Menachem Selinger per farlo diventare un libro tradotto in italiano dal tedesco, intitolato Wir sind so weit… Storia di una famiglia ebraica nell’Europa nazista. Ricordi e riflessioni dal 1939 al 1945 (Il Faggio) . “Spesso ho pensato che non sarei mai riuscita a concludere, non tanto per la mole, ma soprattutto per il coinvolgimento personale”, ha spiegato Tanya. E in effetti i tre volumi che sono venuti fuori contengono le nitidissime e dolorose memorie degli anni della guerra dattiloscritte da Menachem fra il 1944 e il 1945, in un momento di relativa tranquillità passato a Budapest, con una dovizia di particolari che immerge completamente il lettore nella vicenda. Per parlare del libro, oltre alla nipote Tanya, che ne ha curato l’edizione, moderati da Fiona Diwan, direttrice del Bollettino, presenti tutti coloro che si sono maggiormente impegnati nella sua realizzazione. Seduta accanto a Tanya sua mamma Ruth Selinger, figlia di Menachem, protagonista in prima persona di quelle storie, che ha potuto fornire spiegazioni e conferme, oltre che preziosi documenti conservati negli anni di cui il diario si è arricchito. E poi lo storico Marcello Pezzetti, che ha fornito una consulenza di verifica delle fonti storiche e ha scritto l’introduzione del libro, e Iwona Zawidzka, curatrice del museo di Bochnia, la cittadina polacca di provenienza della famiglia Selinger, rintracciata da Tanya attraverso internet quasi per caso, grazie alla cui guida è stato possibile tornare su tutti i luoghi descritti da suo nonno. Già dal titolo, difficilmente traducibile e per questo lasciato in tedesco, si intuisce che la lettura non sarà semplice. Wir sind so weit è la frase che Chanya, sorella di Menachem, ha scritto su una cartolina lanciata fuori dal treno che l’avrebbe portata nel lager di Bełżec, poi recapitata al fratello: letteralmente significa “siamo così lontani”, ma in quel contesto voleva dire “è arrivato il mio momento”, un’espressione di tragica consapevolezza. Che accompagna il lettore per tutto il libro, in cui il racconto privato di una famiglia che doveva salvarsi ma non ha mai voluto separarsi, s’intreccia con quello epico di una fuga a piedi attraverso i Carpazi senza portarsi dietro niente per evitare di sentirsi attaccati a qualcosa di materiale, come ha rilevato Pezzetti. Lo studioso ha poi sottolineato l’immenso valore dell’opera come documento storico, “una fonte inesauribile di notizie, con uno spirito memorativo che sconvolge e travolge il lettore”. L’atteggiamento storico di Selinger emerge proprio nei giudizi lucidi e consapevoli sulla situazione, e nella dovizia di particolari, numeri, date ed eventi della Storia, che aiutano i contemporanei a ricostruire le vicende di una zona di cui difficilmente sono disponibili altre fonti. “Abbiamo dovuto confrontare ogni notizia riportata nelle memorie con tutte le fonti possibili, per non rischiare di dare informazioni sbagliate, ma a ogni pagina trovavamo una conferma”, ha raccontato Franco Ambrosio, editore di Il Faggio ma anche personalmente coinvolto perché marito di Tanya. Accanto a lui, alcune copie del libro e il dattiloscritto originale, testimone di quegli anni duri insieme a Ruth. All’epoca era giovanissima, e suo padre nel libro racconta come sua figlia stentasse a capacitarsi dell’odio nei confronti degli ebrei solo in quanto ebrei, lacerandosi nella sua identità. Ma oggi è arrivata a una conclusione: “Bisogna solo essere umani, non importa di che religione”.
Francesca Matalon
(30 ottobre 2013)