Setirot – Ida

jesurumHo visto il film «Ida» di Pawel Pawlikowski. Due attrici abbastanza straordinarie, Agata Zuleska e l’esordiente Agata Trzebuchowska, guidate da un regista molto bravo. La storia, per chi già non la sa, è presto detta. Inizio anni ’60, una Polonia grigia e soffocante sotto regime comunista, la giovane novizia Anna sta per prendere i voti e vive serenamente in un convento isolato dove è stata portata in tenerissima età durante la II Guerra Mondiale. Poco prima di diventare suora, invitata insistentemente dalla madre superiora, va a Varsavia per incontrare la sua unica parente conosciuta, zia Wanda, che non si era mai messa in contatto con lei. L’incontro, la scoperta di Anna di essere ebrea e di chiamarsi Ida, poi il viaggio delle due donne nel passato. Fin qui la storia. Finale aperto, forse, o forse chiuso, giudicherete voi. Trama che ricorda – pur nella immensa diversità di quasi tutto – la vicenda che Saul Friedländer raccontò così appassionatamente nel bellissimo libro autobiografico «A poco a poco il ricordo» (Einaudi).
Non do alcun giudizio, invece, su ciò che Pawlikowski evoca nel cuore, nel cervello e nelle viscere dello spettatore. Raramente mi è capitato di vedere/ascoltare/provare reazioni così forti e intime di fronte alla proiezione di un film. Ero all’anteprima di «Ida» organizzata dallo Spazio cinema Anteo in collaborazione con il Teatro Franco Parenti, e con finale dialogo aperto al pubblico tra Haim Baharier e lo storico del cristianesimo Alberto Melloni. I temi sono dirompenti: l’antisemitismo “artigianale” cioè non frutto della macchina nazista; la “teoria della sostituzione” (teologicamente negata, ma non per questo del tutto scomparsa, con la dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1965) e conseguente revisione del concetto secondo il quale il vero Israele è la Chiesa); la cancellazione o rimozione o tumulazione della colpa legata alla Shoah…
Girato con la macchina da presa sempre fissa, immobile quindi e in qualche modo asettico nella forma, «Ida» asettico e neutro non lo è proprio per nulla.

Stefano Jesurum, giornalista

(13 marzo 2014)