Kosher, il marchio del cibo buono

cibus, sala stampaKosher, sinonimo di qualità e rigoroso rispetto di principi etici forti. Ma anche una opportunità commerciale che può aprire ai produttori italiani le porte di un mercato immenso e in continua espansione. Il mercato internazionale è già consapevole del valore economico della produzione kosher certificata, ma la cultura italiana del cibo, già famosa in tutto il mondo, aggiunge con il suo fascino un elemento in più, che grazie alla certificazione nazionale di kasherut può diventare un formidabile volano. Le aziende possono avere grandi vantaggi quando decidono di intraprendere il precorso di certificazione su cui stanno lavorando l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il ministero dello Sviluppo Economico, e la risposta di questa mattina ai vari interventi succedutisi in occasione della rassegna internazionale Cibus di Parma lo ha mostrato con grande chiarezza. L’introduzione di Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’Ucei e direttore di Pagine Ebraiche, il giornale dell’ebraismo italiano che ha organizzato l’incontro, ha portato subito il focus sulla relazione esistente fra la cultura ebraica, con la sua cultura e le sue regole, e la rilevanza economica del settore food, in costante espansione.
Jacqueline Fellus, consigliere e componente della giunta dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e assessore delegato allo sviluppo di questo specifico argomento ha toccato questi punti anche sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche spiegando come nelle aziende italiane cresca la consapevolezza della strategicità di questo progetto e dei benefici che potrebbero derivare in termini di espansione dell’offerta in mercati stranieri “sempre più attrattivi e in cui l’attenzione per i prodotti kasher è da tempo radicata”. Dal ministero, sottolineava Fellus, il significativo riconoscimento della coesione e della forza mostrate dall’ebraismo italiano che “ha colto con pienezza l’importanza di questa sfida”, intessendo un dialogo con istituzioni e operatori del mercato. Un percorso alternativo e complementare a quello intrapreso è invece quello proposto da Giorgio Giavarini, presidente della Comunità ebraica di Parma e consigliere UCEI. Forte anche della sua esperienza nel campo della kasherut e delle certificazioni alimentari ha spostato l’attenzione sulla realtà delle piccole comunità, dove mangiare kasher è difficile ed estremamente oneroso. “Parma è una comunità di grandi tradizioni, dove la storia e la cultura della locale comunità ebraica sono legate al tessuto cittadino, ma i piccolissimi numeri non consentono lo sviluppo di un mercato di prodotti kasher, diversamente da quello che succede in comunità grandi, come Roma e Milano. Allo stesso modo l’Italia può essere considerata una Parma d’Europa, con l’esigua comunità ebraica che vanta però una grandissima tradizione anche nella cultura del cibo”. Ha poi sottolineato come l’attrattiva dei prodotti alimentari certificati kasher sia fortissima anche sui non ebrei, che ne riconoscono qualità e sicurezza. Cosa nota all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, dove la richiesta di prodotti certificati è altissima, portando il mercato specifico ad una crescita ben superiore a quella del settore. “L’obiettivo del ministero dello sviluppo economico – ha dichiarato Patrizia Giarratana, del Mise – è la promozione e l’internazionalizzazione degli scambi, e i progetti delle certificazioni Kosher, Halal e Bio vanno esattamente in questa direzione. In questo percorso è stata importantissima non solo l’incentivazione commerciale, per noi è stata una esperienza di enorme arricchimento, soprattutto dal punto di vista umano”. L’obiettivo è anche di favorire una maggiore integrazione, e conoscenza, che avrebbe nel cibo un formidabile catalizzatore.
Le esperienze invece di Roberta Anau, che ama definirsi “agroscribacchina” e di Benedetta Guetta, foodblogger di labna.it hanno in comune un elemento differente: entrambe sono arrivate a occuparsi di cucina ebraica senza averlo programmato in partenza ma spinte dalla forza delle proprie radici e dalla richiesta del pubblico. Roberta Anau, di famiglia ferrarese e piemontese, ha col tempo realizzato che spesso si trovava a riproporre agli ospiti de La Miniera, l’agriturismo che gestisce nel canavese, ricette della tradizione. E di fronte alla richiesta di cibo kasher si è scontrata con la estrema difficoltà di reperire gli ingredienti. A fronte di un enorme patrimonio di ricette della tradizione colpisce in Italia la carenza o addirittura assenza dei prodotti che ogni ebreo italiano vorrebbe e dovrebbe poter trovare con facilità. Il blogger labna.it, invece, non era nato con uno specifico indirizzo ebraico, ma la richiesta costante e l’interesse dei suoi frequentatori – sono circa 5mila i contatti giornalieri – hanno spinto Benedetta Guetta a dedicarsi prevalentemente alla cucina ebraica.
Strumento di comunicazione e cultura, chiave che apre molte porte, il cibo kasher può diventare molto più che una moda. “Dobbiamo ricordare che si tratta di temi che non possono restare patrimonio esclusivo degli addetti ai lavori – ha aggiunto il consigliere Ucei Milo Hasbani – Si tratta di un vero e proprio tesoro, capace di creare risorse, anche grazie alla la creazione di una certificazione nazionale, riconosciuta in tutto il mondo.”

Ada Treves twitter@atrevesmoked

(7 maggio 2014)