Quelli del “se la sono cercata”
Oltre alle solite tesi su complotti di Mossad e Cia, alcuni articoli e commenti comparsi in questi giorni sul web riguardo le vicende di Charlie Hebdo sostenevano che in fondo l’attentato di Parigi, per quanto brutale e abominevole, fosse da attribuire in gran parte all’atteggiamento provocatorio della rivista nei confronti della comunità islamica francese perché imperterritamente avrebbero urtato la sensibilità di molti suoi appartenenti in un momento delicato dove sarebbe in atto un vero e proprio scontro di civiltà. La teoria è che in sostanza i redattori se la siano in “qualche modo cercata”.
La tanto paventata da tutti “libertà di stampa” e il diritto di parola e d’espressione perderebbe completamente di significato in casi come questo. Quando il solo fatto di vivere in Europa, dove hanno fatto la propria fortuna De Sade o Voltaire o dove permangono interi quartieri dediti al turismo sessuale, non dovrebbe già in qualche modo mettere ogni giorno il cittadino, specie quello religioso, a dura prova con la propria suscettibilità, il quale potrebbe trarne al contrario un confronto costruttivo o una verifica delle proprie capacità di resistenza e forza interiore. La libertà è tale se non lede l’altro, ma nessuno del resto impone a nessun altro di comprare riviste satiriche come Charlie Hebdo o perché no il Vernacoliere – il quale punzecchia continuamente il Vaticano e la religione cattolica – o a leggere autori ritenuti soggettivamente sgradevoli, o a percorrere il De Wallen o la Reeperbahn di Amburgo.
Forse la domanda a questo punto, è se sia più importante la nostra coscienza liberale, che per quanto ancora barcollante, insidiosa ed imperfetta, abbiamo conquistato dopo secoli di oscurantismo e censure, o se invece sarebbe più opportuno rinunciarvi e adeguarsi ai tempi che corrono, cedendo alle richieste e alle minacce di un ipotetico altro che si esprime con il terrore e che al tempo stesso non rispecchia neanche in toto “l’altro”. O forse dovremmo ancora chiederci, se non è proprio la nostra coscienza liberale e democratica ad aver prodotto contemporaneamente questa mentalità permissivistica causata dal senso di colpa dell’Occidente verso il proprio passato che pesa continuamente sul nostro presente, dando luogo alla nostra incapacità ad una risposta equilibrata. Certo è che i nostri progressi civili e culturali rappresentano in tutti i sensi e con i suoi pro e i suoi contro, un punto di non ritorno, in cui ogni scelta futura non potrà fare dei passi all’indietro.
Sulla strage del Hypercasher invece sembrerebbe essere emerso un disinteressamento maggiore rispetto alla vicenda di Charlie Hebdo. Sarà che ormai episodi analoghi, specie in Francia, sono quasi all’ordine del giorno, ma alla base c’è forse una retorica ben peggiore. Se in qualche modo, qualcuno intravede una colpa da parte di un giornale per la sua satira, perché non guardare anche le vittime del supermercato di Porte de Valenciennes, in quanto ebrei e dunque automaticamente sionisti, come responsabili di ciò che accade in Medio Oriente? In quest’ottica, caratteristica di molti musulmani così come di appartenenti alle aeree della sinistra estrema, gli ebrei non sono graditi in Israele, e ugualmente non lo sono in Europa, almeno finché resteranno tali. Ogni ebreo, di qualunque età o orientamento politico, sarà percepito allora come colpevole, e quindi vittima legittimata in una guerra asimmetrica e senza quartiere.
Per fermare questo meccanismo e questa scia di sangue, Benjamin Netanyahu e altri politici israeliani hanno esortato gli ebrei francesi all’Aliyah in Israele. Sebbene questo invito sia da cogliere più come una dichiarazione di vicinanza e solidarietà, che come una sollecitazione vera e propria. Un’eventuale migrazione di massa dalla Francia, o dall’Europa, per quanto comprensibile e auspicabile, non può tener conto degli aspetti negativi che comporterebbe, oltre alla capitolazione di fronte al terrore e al jihadismo, annullerebbe, come scrive David Fichler su Haaretz, una delle funzioni principali alla base della fondazione dello stato di Israele: la protezione dell’ebraismo e della sua presenza nel mondo. L’ebraismo non può fare a meno di Israele, e così anche il sionismo necessita della Galuth, suo luogo d’origine, entrambi sono due entità complementari e inscindibili nonché secolari, che hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere e mantenersi vitali. E forse, come ha dichiarato il primo ministro francese Manuel Valls, neanche la Francia potrebbe esistere senza gli ebrei, sia per il loro importante contributo nella sua storia, sia perché l’Europa intera perderebbe di senso e di credibilità per una così grave sconfitta.
Francesco Moises Bassano
(16 gennaio 2015)