Michael Bond (1926 – 2017)
Paddington resta solo
Non sono passati neppure due anni da quando DafDaf, il giornale ebraico dei bambini, aveva raccontati ai suoi lettori la vera storia di Paddington. L’orso “sempre gentile, pieno di buone intenzioni, che ha però una incredibile capacità di cacciarsi nei guai. Ama i panini con la marmellata d’arance e la cioccolata calda, odia le ingiustizie e il razzismo, e soprattutto non tollera chi tratta male i suoi amici” è rimasto solo. Il suo autore, Michael Bond, morto nelle scorse ore, aveva raccontato di ricordare perfettamente che alla fine degli anni Trenta era rimasto molto impressionato dalle file di bambini ebrei che arrivavano con i Kindertransport: “Avevano tutti un cartellino appeso al collo su cui stava scritto il loro nome, e l’indirizzo. E ognuno di loro portava una piccola valigia, che conteneva tutto quello che possedevano.” Un’immagine triste, che non aveva dimenticato e che nel 1958 dopo lo aveva portato a creare il suo famoso personaggio. “Penso che non ci sia nulla di più triste che vedere dei piccoli rifugiati, e Paddington, in un certo senso, è un orso rifugiato.”
Riproponiamo qui le pagine uscite sul numero 52 di DafDaf, nel dicembre del 2015.
Un piccolo grande orso rifugiato
Una città invasa dagli orsi: a Londra, in questo periodo, è facile incontrare una statua che ritrae l’orso più amato dai bambini inglesi. Sono infatti cinquanta, tutte uguali ma decorate in maniera differente, le statue che fanno parte di una campagna pubblicitaria creata in occasione dell’uscita di “Paddington” nei cinema inglesi a fine novembre. Il film, pieno di star, è un’ottima occasione per riscoprire le origini del famosissimo e inconfondibile orso, che ha dietro di sé una storia poco conosciuta.
La sua prima storia è stata pubblicata nel 1958, con le illustrazioni di Peggy Fortnum, e l’autore che lo ha creato, Michael Bond, ha recentemente raccontato da dove ha tratto ispirazione. Chi conosce Paddington sa bene che intorno al collo ha un cartellino, su cui, nella versione originale, si legge “Please, look after this bear. Thank you”, ossia “Per favore prendetevi cura di quest’orso. Grazie”.
È un particolare importante, che è stato rispettato sia nel film che in tutte le circa cinquanta statue che si trovano a Londra, decorata ognuna da un personaggio (reale) famoso.
Michael Bond, il suo inventore, ha ottantotto anni ma ricorda perfettamente che alla fine degli anni Trenta era rimasto molto impressionato dalle file di bambini ebrei che arrivavano con i Kindertransport. Recentemente ha raccontato che “Avevano tutti un cartellino appeso al collo su cui stava scritto il loro nome, e l’indirizzo. E ognuno di loro portava una piccola valigia, che conteneva tutto quello che possedevano.” Un’immagine triste, che non ha dimenticato e che molti anni dopo lo ha portato a creare il suo famoso personaggio. “Penso che non ci sia nulla di più triste che vedere dei piccoli rifugiati, e Paddington, in un certo senso, è un orso rifugiato.” Un orso sempre gentile, pieno di buone intenzioni, che ha però una incredibile capacità di cacciarsi nei guai. Ama i panini con la marmellata d’arance e la cioccolata calda, odia le ingiustizie e il razzismo, e soprattutto non tollera tutti chi tratta male i suoi amici.
In una delle sue storie dice una cosa importante: “In London nobody is the same, which means everyone fits in.” cioè “A Londra nessuno è uguale a un altro, che significa che tutti trovano il proprio posto.”
Kindertransport è il nome di un’operazione di salvataggio dei bambini ebrei che si svolse prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Il Regno Unito accolse migliaia di bambini ebrei in fuga dalla Germania nazista, e da molti altri paesi d’Europa, trovando per ognuno di loro una famiglia dove vivere. Per mesi arrivarono circa trecento bambini alla settimana, così presto fu necessario organizzare dei centri di accoglienza. Dopo la fine della guerra, a sette anni dal loro arrivo quasi tutti decisero di tornare in patria per cercare i propri genitori, con cui avevano spesso perduto ogni contatto, ma la maggior parte di loro non trovò più nessuno.
Ada Treves, dal numero 52 di DafDaf, dicembre 2015
(29 giugno 2017)