Sefarad, il grande viaggio di Susan
Un concerto unico, per tanti buoni motivi, quello che ha chiuso la stagione estiva dalla Comunità ebraica di Casale Monferrato domenica. Intanto perché è stato l’unico concerto in Italia della cantante statunitense Susan Gaeta, considerata una delle più grandi interpreti a livello mondiale della musica sefardita. Unico come l’opportunità che l’ha generato: “Amici degli amici hanno coinvolto quest’artista che era in Italia per motivi personali” celia Elio Carmi presentando il concerto. In realtà è facile intuire com’è andata: gli amici sono Andrea Judith Man e Oscar Casares, musicisti cosmopoliti, ma ormai casalesi, conosciuti per la chitarra il tango, ma anche per le loro incursioni nella cultura ebraica (Andrea nella sua multietnica famiglia vanta ascendenze) che hanno precettato Susan in vacanza in Italia, convincendola a questa esibizione fuori programma. Una parentesi di lavoro che si è trasformata in un momento piacevole per tutti, perché a quanto pare Susan è rimasta conquistata dalla sinagoga e dalla sua acustica, tanto di rinunciare a qualsiasi impianto di amplificazione.
E i casalesi non si sono lasciati sfuggire quest’occasione culturale, nonostante la temperatura. Sala piena con un pubblico caldo “nel senso di accogliente” continua Elio, guardando il lato destro della sinagoga che sfoggia un bel campionario di ventagli (gli uomini a sinistra si fanno aria con il programma). Non capita tutti i giorni del resto di vedere anche questo “lato” della musica ebraica, quello che viene dalla diaspora nei paesi del Mediterraneo (Sefaràd come viene indicata la Spagna nei testi ebraici) e che per affinità culturale è vicino alla comunità monferrina, nata dagli ebrei cacciati dalla penisola iberica alla fine del XV secolo.
La voce di Susan rappresenta l’altra unicità del concerto, un suo sussurro sopra un arpeggio di chitarra basta per creare atmosfera, ma è il viaggio che propone, insieme a Andrea e Oscar, ad essere altrettanto singolare. È innanzitutto un incrociarsi di lingue, Susan parla un po’ italiano e un po’ spagnolo, ma soprattutto è un incrociarsi di storie familiari, intime: musica per “matrimoni e funerali”, volendo citare un altro filone popolare.
Difficile ricordare i titoli, più facile evocare le atmosfere che spesso parlano di amore, ma con un senso ironico decisamente latino. Sfilano spose riottose, corteggiatori delusi, festività ebraiche da preparare facendo dolci, nonne sagge, ragazzini allegri, vecchie zie. Purtroppo anche paura, campi di concentramento, cenere e fumo, perché la vita di una famiglia ebraica è anche questa.
Per tutto questo bastano due chitarre, quella di questa signora bionda nata in Connecticut, quella di Oscar che per l’occasione ha il feltro delle migliori milonghe e il controcanto della voce mediterranea di Andrea a cui sono affidate anche le percussioni. Non è musica ritmata come l’altro lato dell’ebraismo che ha dato vita al klezmer, al massimo c’è un lieve accenno di tango o di fado. È musica dove basta qualche intervallo ereditato dal Marocco o dalla Turchia per creare un racconto. Perché queste note hanno fatto veramente il giro del mondo man mano che gli ebrei venivano relegati ai suoi angoli.
Alla fine il pubblico ha già dimenticato il caldo e c’è un leggero senso di commozione che spinge molti ad alzarsi per una standing ovation prima dei bis.
Un concerto unico? Speriamo di no. Tornerà pure Susan a fare vacanze in Italia.
Alberto Angelino
(25 luglio 2017)