Una pericolosa inerzia
Sono piccoli segnali, certo. Marginali e talora persino macchiettistici. Eppure, messi in fila uno dopo l’altro, un po’ di impressione la fanno: prima la notizia della spiaggia fascista di Chioggia, che da anni esibisce simboli del Ventennio oltre a cartelli misogini e intolleranti; poi un deputato della Repubblica, Massimo Corsaro, che per polemizzare con il collega Emanuele Fiano scherza in modo greve sulla sua circoncisione e dunque sulla sua appartenenza religiosa; infine il simpatico oste di Tropea, in Calabria, che a una coppia di omosessuali in cerca di una stanza risponde candidamente – per iscritto – di non accettare animali e gay nella sua struttura.
Intendiamoci, si tratta di un quadro a macchia di leopardo. Recentemente mi è capitato un episodio interessante in un ristorante di una media provincia italiana: l’avventore accanto al mio tavolo ripete un paio di volte al cameriere di “non fare il giudeo, non fare il rabbino”; alla seconda volta interveniamo con gli altri commensali e ne nasce un piccolo diverbio, accolto dalla condanna unanime della battuta antisemita da parte degli altri clienti e dello stesso ristoratore. Il giorno dopo un amico non ebreo incontra per caso il proprietario per strada, ed è quest’ultimo a raccontargli la brutta figura, sinceramente mortificato. Tutto sommato, un sentimento non scontato.
In generale, la mia sensazione è questa: nella società sono cambiati profondamente i modi di pensare, e in larghi strati della popolazione, non solo quelli più colti, si considerano ingiustificabili atteggiamenti intolleranti, razzisti, antisemiti, discriminatori. Allo stesso tempo – probabilmente per l’esplosione del dibattito sull’immigrazione e per il messaggio di molti “cattivi maestri” – la capacità di reazione, il moto di indignazione si sono fatti più lenti sino a sfociare nell’inerzia. Insomma, non bisogna ingigantire me neanche minimizzare. Il fascismo è prima di tutto ciò che ci accade nella vita di tutti i giorni, e ciò che lasciamo crescere dentro di noi senza combattere.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(25 luglio 2017)