Esaltare la vita
Il 10 marzo 1982 presso la Stanford University (California, USA) il Peninsula Women ’s Chorus di Palo Alto diretto da Patricia Hennings eseguì in concerto l’intera collezione di brani corali della missionaria presbiteriana Margaret Dryburgh (nella foto), deportata presso i Campi giapponesi aperti in Sumatra presso Muntok, Loebok Linggau e Balalau (morì nell’aprile 1945 a Bangka Island).
Nel maggio 1983 le donne olandesi, australiane e britanniche sopravvissute ai Campi giapponesi di Sumatra furono invitate a un concerto commemorativo del Peninsula Women’s Chorus a Palo Alto; in tale circostanza, coro e sopravvissute eseguirono il The Captives Hymn della Dryburgh.
Per ovvie ragioni storiche e geografiche l’Australia ha sempre mostrato particolare attenzione alla salvaguardia del repertorio musicale prodotto in cattività nel Pacifico occidentale durante la Seconda Guerra Mondiale; il 22 agosto 1990 presso la Perth Concert Hall si tenne il concerto corale Song of Survival diretto da Eveline Thompson con esecuzione di brani corali scritti da donne prigioniere nei Campi giapponesi aperti in Indonesia.
Nel 1995 Helen Colijn, già internata nel Campo giapponese di Palembang, pubblicò i volumi musicali Song of Survival contenenti i brani per coro femminile arrangiati da Margaret Dryburgh a Palembang; Antoinette Colijn, sorella di Helen e soprano del coro femminile di Palembang, consegnò i fogli originali della Dryburgh alla biblioteca della Stanford University.
Il film Paradise Road (1997) con la regia di Bruce Beresford, ispirato alle prigioniere di Sumatra e all’attività musicale della Dryburgh, della Chambers e del coro femminile di Palembang, contribuì notevolmente alla promozione della musica corale femminile nei Campi giapponesi.
Il 17 ottobre 1983 l’ente radiofonico australiano Radio Helicon trasmise The Changi Concert Party, recital di canzoni e brani strumentali creati dai prigionieri militari Alleati nel Campo giapponese di Changi (Singapore) ed eseguiti dagli stessi sopravvissuti presso la Legacy House di Sydney.
Nel 1985 comparvero alcuni volumi indispensabili alla ricostruzione dell’attività musicale nei Lager aperti dal Reich quali Yes, We Sang! a cura di Shoshana Kalisch e Barbara Meister, The Transformation of the Folk Song in the Ghettos and Camps di Yaakov Gelman e Pieśni zza drutów di Zofia Murawska–Gryń; nel medesimo anno il violinista e storico musicale polacco naturalizzato statunitense Josef “Joža” Karas pubblicò Music in Terezín 1941–1945, libro tradotto in diverse lingue e che ha avuto il pregio di promuovere la produzione musicale a Theresienstadt.
Karas fu uno dei primi ricercatori ad accedere alla Karl Hermann Collection che trovasi presso il Terezín Memorial; il materiale raccolto da Hermann consta di circa 500 illustrazioni a colori, programmi di recitals, allestimenti teatrali e cabaret tenutesi in Theresienstadt dal 1941 al 1944 e contiene altresì chiose manoscritte su artisti, compositori, direttori d’orchestra, musicisti, cantanti, attori, cabarettisti, pittori e scienziati.
Nel 1986 Ulrike Migdal pubblicò Und die Musik spielt dazu, ricco di testi e informazioni sull’attività cabarettistica di Theresienstadt; nel medesimo anno lo Archival Sound Recordings Service della British Library acquisì la Roy Palmer Collection contenente tra l’altro una ampia documentazione fonografica di Maurice Rooney, POW britannico dal 1942 al 1945 presso il Campo giapponese di Kinkaseki (Taiwan).
La letteratura musicale concentrazionaria diventa storia allorquando consegna una visione unificata e sinottica della fenomenologia artistica sviluppatasi in cattività tra il 1933 (apertura di Dachau) al 1953 (morte di Stalin).
La musica è positiva, esalta la vita; la musica scritta in Lager e Gulag annichilisce persino le ideologie totalitarie e rende uno dei più grandi omaggi all’ingegno umano.
Francesco Lotoro
(28 marzo 2018)