Fragilità democratica
Le reazioni pubbliche all’episodio dell’autobus dirottato e dato alle fiamme a Milano denunciano tutta la fragilità e l’impreparazione della nostra società di fronte a repentini cambi di paradigma nel comportamento dei singoli e della collettività. Non si tratta solo di sicurezza. Su questo tema, in forza della lunga stagione del terrorismo in Italia (la storia si dovrebbe continuare a studiare nelle nostre scuole!), il nostro paese è vigile e accorto. Non circolano armi automatiche (come in Nuova Zelanda o negli USA), il controllo del territorio è diffuso e capillare, l’intelligence funziona bene e monitora in maniera estesa i comportamenti che si direbbero “divergenti”. Infine, la preparazione delle forze dell’ordine è di altissimo livello e le loro competenze sono spesso richieste per addestramento anche in molte aree dove i conflitti sono aperti e fuori controllo. Quindi non è questo il problema e chi usa il tema della sicurezza (o dell’insicurezza percepita) a scopi propagandistici e politici fa un danno evidente al paese.
La questione che invece sembra emergere con evidenza è l’impreparazione della nostra società (parlo dei singoli, delle famiglie o dei gruppi organizzati in associazioni) a comprendere che il limbo nel quale abbiamo vissuto in Italia e in Europa occidentale dal 1945 ad oggi sta rapidamente volgendo al termine. La libertà e la democrazia sono due valori di altissimo significato che non possono più essere dati per scontati. La nostra generazione e quella che ci ha preceduto, così come quelle che noi abbiamo generato, danno per acquisiti e scontati questi principi. Quando essi sono saldi, non esistono né si manifestano episodi di violenza indiscriminata accompagnati da retoriche altrettanto violente. La direzione in cui ci stiamo incamminando volontariamente (cioè conferendo in maniera democratica potere a gruppi organizzati che hanno un concetto poco inclusivo di democrazia) è al contrario quella di una rinuncia al valore assoluto di quei principi. In questo contesto è visibile l’aumento della violenza verbale, che è sempre il primo passo nella direzione di un parallelo aumento della violenza fisica, che diviene accettabile o comunque (insopportabilmente) comprensibile. Che cosa passi per la testa a un autista di scuolabus con precedenti per molestie sessuali e guida in stato di ubriachezza non è dato al momento sapere con certezza. Potrebbe essere un caso di terrorismo, e come tale la magistratura lo saprà trattare se del caso. Ma che su quel gesto si eserciti la retorica razzista (come hanno fatto ieri molti organi di stampa e non pochi esponenti politici) diventa un fatto grave su cui riflettere. Non è dato giocare con le parole su tutto. Se lo si fa, significa che si sta operando apertamente nella direzione di un indebolimento programmatico delle nostre libertà e dell’intera impalcatura democratica.
Gadi Luzzatto Voghera, Direzione Fondazione CDEC