La forza del terrore nel cuore della tenebra
Vi ricordate gli aquiloni e i palloni incendiari lanciati nella primavera scorsa a centinaia, a migliaia dalla Striscia di Gaza in territorio israeliano con il benestare o la diretta partecipazione di Hamas? E i missili con cui, a intervalli irregolari ma ormai da quasi quindici anni, i terroristi mettono alla prova il sistema difensivo Iron Dome e cercano di colpire in modo indiscriminato gli abitanti di città e paesi? E gli attacchi compiuti da persone che sanno di andare incontro a una probabile morte? Negli esecutori di attentati la consapevolezza di mettere a forte rischio la propria stessa vita è meno importante dell’idea fanatica di essere portatori di una missione, un’idea di sacrificio che è innanzitutto autosacrificio.
Ricordo un caro amico, una di quelle persone che non vedi quasi mai e di cui hai grande stima, che, a questo proposito (non si riferiva in modo specifico al lancio di missili, ma al terrorismo arabo palestinese in genere) mi invitava a riflettere su una scena del film “Apocalypse Now”. Siamo nella parte conclusiva della pellicola, penetrati sempre più a fondo nel cuore della tenebra. Parla il colonnello Kurz: “Ricordo quand’ero nelle forze speciali… sembra… migliaia di secoli fa. Andammo in un campo… per vaccinare… dei bambini. Lasciammo il campo dopo aver vaccinato i bambini contro la polio. Più tardi venne un vecchio correndo a richiamarci, piangeva, era cieco. Tornammo al campo. Erano venuti i vietcong e avevano tagliato… ogni braccio… vaccinato. Erano là in un mucchio. Un mucchio di piccole braccia […] Poi mi sono reso conto, come fossi stato colpito… colpito da un… diamante, una pallottola di diamante in piena fronte, e ho pensato: mio dio, che genio c’è in questo, che genio, che volontà per far questo. Perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. E così mi resi conto che loro erano più forti di noi perché loro la sopportavano. Questi non erano mostri, erano uomini, quadri addestrati. Uomini che combattevano col cuore, che hanno famiglia, che fanno figli, che sono pieni d’amore ma che… ma che avevano la forza, la… forza di far questo”.
Non basta, ovviamente, per spiegare il terrorismo di Hamas. Ci sono logiche di potere, volontà di dominio, rivalità. Ci sono le proteste nelle piazze di Gaza contro il movimento che contribuiscono a spiegare la ripresa del lancio di missili nei giorni scorsi e la nuova “marcia del ritorno” annunciata per domani, che come tutte quelle passate sarà verosimilmente organizzata dai terroristi nel tentativo di massimizzare i morti e feriti tra i civili gazawi spinti al confine. Ci sono enormi risorse provenienti dall’estero che, finché non sarà imposto un controllo serrato, continueranno a essere impiegate anche per alimentare l’odio e il conflitto. Ci sono scenari più grandi del lembo di terra che si allunga tra il Mediterraneo e il Giordano, e che coinvolgono le grandi potenze della regione, dall’Arabia Saudita all’Iran. Ma c’è anche l’insegnamento che viene dal profondo della giungla, dalla lucida follia tropicale di Kurz. Lo sguardo nichilista che non indietreggia di fronte ad alcun mezzo in nome del fine è una componente della negazione della vita caratteristica del terrorismo: negazione della vita degli altri e, nello stesso istante, anche della propria. Se questo è vero, allora anche i bombardamenti, sebbene talvolta indispensabili mezzi di difesa, non risolvono nulla.
Giorgio Berruto