Verità e manipolazione
Un capitolo dell’ultimo libro di Paolo Mieli (Le verità nascoste. Trenta casi di manipolazione della storia, Rizzoli, Milano, 2019) è dedicato a un tema di cui si è già parlato in più occasioni su queste pagine, la condizione degli ebrei nel mondo islamico, e lo fa riferendosi al lavoro di Georges Bensoussan (Gli ebrei nel mondo arabo. L’argomento proibito, Giuntina, Firenze, 2018), anch’esso ben noto ai nostri lettori. Tuttavia appare utile riproporlo proprio perché le considerazioni di Mieli sono inserite in un quadro più generale dedicato a come la storia possa essere manipolata e come verità che dovrebbero essere evidenti vengano invece nascoste.
La verità nascosta di cui parla Mieli sulla base della lettura di Bensoussan è l’esistenza dell’antisemitismo nel mondo islamico, un antisemitismo profondo e radicato, non riferibile a eventi recenti come la nascita dello Stato d’Israele o la guerra dei Sei giorni, riconducibile piuttosto a una lettura teologica del Corano e a scelte di natura sociale e politica, ma che, comunque, costituisce un aspetto permanente delle società islamiche. Viene così rovesciato il paradigma – che è poi un luogo comune – che vuole che l’antisemitismo sia un prodotto esclusivamente europeo, frutto di pregiudizi prima religiosi, poi scientisti, infine decisamente politici, ma comunque interni alle dinamiche delle società europee.
Bene ha fatto Mieli a riportare citazioni testuali di Bensoussan a proposito delle cause che hanno determinato l’esodo pressoché totale delle comunità ebraiche dai Paesi arabi dove avevano vissuto per secoli: “Più del sionismo e della nascita dello Stato d’Israele sono stati l’emancipazione degli ebrei attraverso l’istruzione scolastica e l’incontro con l’Occidente dei Lumi a provocarne la scomparsa in quei Paesi, quindi il loro riscatto, un evento inconcepibile per l’immaginario di un mondo in cui la sottomissione dell’ebreo aveva finito per costituire una pietra angolare”. E ancora: “Questa tesi (quella della nascita dello Stato d’Israele come causa dell’esodo degli ebrei dai Paesi arabi) è smentita da moltissimi testimoni occidentali riguardo agli anni 1890-1940, siano essi amministratori coloniali, militari, medici, giornalisti o viaggiatori”. Tutti raccontano della “virulenza di un sentimento antiebraico, ad ogni evidenza variabile a seconda delle regioni e dei periodi, senza connessione alcuna con la questione palestinese”. Ma le testimonianze risalgono ben lontano nel tempo, come quella, compiaciuta e partecipe, del francescano Francesco Suriano, degli inizi del XVI secolo: “Questi cani, gli ebrei, sono calpestati, picchiati e tormentati come meritano. Vivono in questo Paese (la Palestina ottomana) in una condizione di sottomissione che le parole non possono descrivere. È una cosa istruttiva vedere che a Gerusalemme Dio li punisce più che in ogni altra parte del mondo”. Con un salto di qualche secolo, la testimonianza dell’abate francese Léon Godard, del 1857, conferma quanto riportato da Suriano: “Gli ebrei in Marocco sono considerati tra gli animali immondi… La tolleranza dei principi musulmani consiste nel lasciare vivere gli ebrei come si lascia vivere un gregge di animali utili… Se un musulmano li colpisce, agli ebrei è proibito, pena la morte, difendersi eccetto che con la fuga o con la destrezza”.
Mieli conclude la sua nota parlando dei pogrom che si verificarono nel mondo arabo, dopo la guerra dei Sei giorni, nei confronti delle residue comunità ebraiche che ancora erano in vita, non senza aver riportato quanto scritto nel 1950 da Sayyd Qutb, successore di Hassan el-Banna a capo dei Fratelli musulmani, l’organizzazione da cui sono derivate le posizioni più radicali presenti nel mondo arabo: ”Gli ebrei hanno ricominciato a far male… Allah inviò loro Hitler per dominarli; poi la nascita di Israele ha fatto provare agli arabi, i proprietari della terra, il sapore della tristezza e della sofferenza”.
Il riferimento a Hitler permette di accennare ad un altro libro da poco tradotto in italiano, di Matthias Küntzel, Il Jihad e l’odio contro gli ebrei. L’islamismo, il nazismo e le radici dell’11 settembre, Belforte, Livorno, 2019. Si tratta di un libro uscito in tedesco nel 2002 e tradotto in inglese nel 2007 e in effetti è dall’edizione britannica che è tratta la traduzione italiana. Sottolineo queste date per rilevare che la bibliografia è composta esclusivamente di opere in tedesco e in inglese ed è aggiornata, appunto, al 2007; ma anche perché è un lavoro che risente fortemente, e non solo nel titolo, dell’emozione creata dall’attacco alle Torri gemelle di New York.
Pur essendo opera di un accademico, si tratta di un lavoro che ha un preciso indirizzo politico, quello della destra radicale, e si basa sull’idea che l’ispirazione dell’Islam politico si trova nel nazismo. Il lavoro è ricco di documentazione storica a sostegno di questa tesi, ma è proprio questo radicalismo che lascia insoddisfatti: se infatti tutto l’Islam del nostro tempo è riconducibile senza sfumature al nazismo, e quindi non può che essere respinto e combattuto in blocco, allora non si spiegano fenomeni come quello del popolo curdo, che, pur essendo di religione islamica, oggi è universalmente esaltato come difensore della causa della libertà e presenta aspetti come quello del ruolo delle donne che mal si conciliano con una certa immagine tutta in bianco e nero dell’Islam. Né si spiega – su un altro piano – il rapporto che lo Stato d’Israele ha con una serie di Paesi arabo-islamici, a partire dall’Egitto e la Giordania, con i quali è stato a suo tempo concluso un trattato di pace, e in particolare, oggi, con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman, ma anche il Marocco e, al di là dell’esito delle recenti elezioni, la Tunisia.
Voler ignorare l’antisemitismo diffuso nei Paesi islamici è certamente un errore; ma anche disegnare un quadro riduzionistico nel quale l’Islam del nostro tempo viene ricondotto senza sfumature all’ispirazione nazista può costituire una tesi suggestiva e che può anche attirare consensi, ma che non aiuta a comprendere una realtà ben altrimenti complessa.
Valentino Baldacci
Le origini dell’antisemitismo islamico
L’articolo di Valentino Baldacci, dal titolo “Verità e manipolazione” in cui fa riferimento al libro di Matthias Kuntzel, “Il Jihad e l’odio contro gli ebrei, l’Islamismo e il nazismo e le radici dell’11 settembre”, da me curato e tradotto, contiene affermazioni che snaturano le tesi esposte nel testo. In quanto tali vanno rigettate.
Baldacci scrive che “Pur essendo opera di un accademico, si tratta di un lavoro che ha un preciso indirizzo politico, quello della destra radicale”.
Questa affermazione sconcertante è del tutto priva di fondamento. Matthias Kuntzel, uno dei maggiori studiosi internazionali di jihadismo e delle dinamiche dell’antisemitismo interne al mondo islamico non ha alcuna inclinazione nei confronti della “destra radicale” (qualsiasi cosa essa significhi per Baldacci: neonazisti, neofascisti, suprematisti bianchi, etnonazionalisti?). Fintanto che non viene dimostrata essa resta ciò che è, un petitio principii.
Baldacci prosegue scrivendo che Kuntzel sosterrebbe che “l’ispirazione dell’Islam politico” si troverebbe nel nazismo. Falso. Con specifico riferimento al più importante movimento radicale islamico del Novecento, i Fratelli Musulmani, nato in Egitto alla fine degli anni Venti, Kuntzel sostiene che esso trasse ispirazione “dal fascismo europeo degli anni Trenta” non dal nazismo in senso proprio, tuttavia, precisando nel capitolo “I Fratelli Musulmani e i nazisti”, letto molto distrattamente dall’autore dell’articolo, che “Sarebbe sbagliato definire i Fratelli Musulmani come convinti seguaci dei nazisti. La Fratellanza respinse le politiche razziali dei nazisti e il nazionalismo suprematista tedesco, poichè entrambi erano in disaccordo con il concetto di umma intesa come fratellanza islamica universale”.
Dunque, ciò che Kuntzel scrive è esattamente il contrario di ciò che Baldacci vorrebbe fargli dire. Il pilastro concettuale su cui si basa la Fratellanza è rigorosamente islamico e semmai, nel fascismo europeo, nella fattispecie nel nazismo, trasse solo elementi affini. È sempre Kuntzel a specificarlo con chiarezza: “Quando i Fratelli Musulmani esprimevano ammirazione per certi aspetti del nazismo, di solito lo facevano per dimostrare che gli europei avevano applicato alcuni ‘principi dell’Islam'”. Anche Hamas (costola palestinese della Fratellanza), a cui vengono dedicate numerose pagine del libro, ha importato copiosamente dei topoi dall’antisemitismo occidentale, ma di fatto, il suo oltranzismo è consustanziale al salafismo sunnita.
Abbiamo qui un capovolgimento della tesi esposta da Baldacci. Non sarebbe la specifica interpretazione dell’Islam proposta dalla Fratellanza a essersi ispirata al nazismo, ma sarebbe vero il contrario.
Ciò che Baldacci scrive di seguito è quindi inevitabilmente inficiato dal postulato errato assunto. Vale la pena riportarlo per intero:
“Se infatti tutto l’Islam del nostro tempo è riconducibile senza sfumature al nazismo, e quindi non può che essere respinto e combattuto in blocco, allora non si spiegano fenomeni come quello del popolo curdo, che, pur essendo di religione islamica, oggi è universalmente esaltato come difensore della causa della libertà e presenta aspetti come quello del ruolo delle donne che mal si conciliano con una certa immagine tutta in bianco e nero dell’Islam. Né si spiega – su un altro piano – il rapporto che lo Stato d’Israele ha con una serie di Paesi arabo-islamici, a partire dall’Egitto e la Giordania, con i quali è stato a suo tempo concluso un trattato di pace, e in particolare, oggi, con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman, ma anche il Marocco e, al di là dell’esito delle recenti elezioni, la Tunisia”.
Nessuno, e sicuramente non uno studioso rigoroso ed esperto come Kuntzel, sostiene la tesi grottesca che tutto l’Islam sarebbe riconducibile al nazismo. I curdi, lo Stato di Israele e i suoi attuali rapporti con il mondo arabo, il Marocco e la Tunisia, sono quindi esempi incongruenti.
È evidente, per chi conosca bene il tema, che il radicalismo islamico che predica e pratica il jihad e che vede negli ebrei dei nemici perenni non ha bisogno del nazismo per estrinsecarsi, come dimostra, ultimo arrivato tra le sette islamiche rigoriste, l’ISIS. Basta semplicemente economizzare; una lettura sine glossa delle sure medinesi contenute nel Corano.
Niram Ferretti
(24 ottobre 2019)