Nel nome di Frida Misul
“Colei che ha sofferto comprende molte cose, che non possono essere comprese da colui la cui vita trascorse senza l’ombra del dolore”. Sono riflessioni di Frida Misul, ebrea livornese sopravvissuta ai campi di sterminio che scelse la strada della testimonianza a partire dall’immediato dopoguerra: la sua, in Italia, fu in assoluto una delle prime voci a levarsi. È il 1946 infatti quando Misul fa pubblicare un memoriale sull’esperienza vissuta nel lager. Lei come Lazzaro Levi, che fece altrettanto nel 1945. E quindi Luciana Nissim Momigliano, Giuliana Fiorentino Tedeschi e Alba Valech Capozzi, che pure uscirono nel 1946. Per arrivare al ’47, con Primo Levi e Liana Millu.
A 100 anni dalla nascita, Livorno è tornata a ripercorrerne la vita e l’impegno di Memoria attraverso il convegno “Per Frida Misul. Donne, Shoah, Resistenza” tenutosi stamane in Fortezza Vecchia. Una mattinata segnata da molte riflessioni significative e tra gli altri dalle parole del figlio Roberto, dall’omaggio del sindaco Luca Salvetti, dagli interventi per la Comunità ebraica di Gianfranco Giachetti e Gadi Polacco e per l’Adei Wizo della presidente Susanna Sciaky.
Un’occasione inoltre per parlare del volume “Canzoni tristi. Il diario inedito del Lager 3 aprile 1944-24 luglio 1945”, curato dal professor Fabrizio Franceschini per la casa editrice Salomone Belforte & C. “Fra 1945 e 1947 – ha scritto Alberto Cavaglion di queste pagine – la flebile voce del superstite, in forme di scrittura molto diverse, ha dato il meglio di sé. Una voce rauca, volutamente fioca, in parte inudibile. Un timbro vocale che ritroviamo in tutti i taccuini della prima ora, nelle prime edizioni di libri poi destinati a grande fortuna, nelle prime lettere che gli ex deportati si scambiano fra loro al momento del rientro a casa, nelle prime stesure dei diari”. Per Cavaglion “un timbro inconfondibile rende simili queste voci, queste parole sommesse”.
(24 novembre 2019)