Il mito del fascismo buono
Il mito di Giorgio Almirante democratico. Da oltre settant’anni, ormai, c’è chi si sforza di convincerci che il fascismo non è più fascismo, che la destra fascista è ora inserita, convinta e a pieno diritto, nel sistema democratico, e che, comunque, il fascismo, quello passato e ora aggiornato è sempre stato migliore dei crudeli regimi comunisti dell’Europa orientale e dell’Unione Sovietica. Il fascismo ha sempre cercato la propria assoluzione e il proprio lasciapassare nella malvagità comunista.
Ma il riconoscimento del male rappresentato dal comunismo in giro per il mondo – e non ci si stanca di affermarlo – non può né potrà mai assolvere il male incarnato e commesso dal fascismo. Un male non ne compensa un altro, e i crimini di un regime non assolvono i crimini di un altro regime. Quotidianamente il mito del ‘fascismo buono’ viene riproposto dai fascisti di oggi, e non sono pochi coloro che non si rassegnano a rinunciarvi per riconoscerne, invece, nefandezze e falsità. E se si possono capire i nostalgici che all’infame e razzista ideale fascista legarono la loro ingenua giovinezza, non si capiscono i giovani d’oggi, che del fascismo nulla sanno tranne i miti tramandati dalle favole accuratamente costruite dai fan (= fanatici ammiratori) di un sepolto ideale.
Fra le favole trasmesse dalla memoria distorta del fascismo c’è quella di un Giorgio Almirante democratico, lui, firmatario dell’abominevole Manifesto della razza, collaboratore ben responsabile della rivista ‘La difesa della razza’, convertito, senza convinzione e con interessato spirito di sopravvivenza, all’idea di una democrazia che gli garantì libertà, prestigio e benessere, anziché meritato contrappasso di giustizia. “Democratico è un aggettivo che non mi convince”, ebbe a dire, con spocchia irriconoscente nei riguardi di un sistema che gli aveva consentito di occupare un seggio in quel Parlamento che il fascismo aveva spazzato via.
Ma è proprio il mancato percorso di giustizia che nello spirito della riconciliazione caratterizzò il dopoguerra che consente ora alla baldanza del fascismo di mimetizzarsi e di raccogliere adesioni nella società democratica. È il malinteso dovere della tolleranza nei riguardi di chi è, per suo statuto, intollerante.
Chi ricorrentemente propone di dedicare vie cittadine alla memoria di Almirante ama ricordarlo patriota e illuminato democratico, persino salvatore di ebrei, lasciando invece nascosto dietro le quinte il suo passato di razzista, sostenitore convinto di un regime dittatoriale e antisemita. Nostalgico, poi, e ‘collaterale’ (come si usava dire riferendolo ad altro contesto politico) a movimenti sovversivi, bombaroli e stragisti.
Un doppiopetto, anche di buona sartoria, non può nascondere il passato. Il nostro dovere è ricordarlo, a noi stessi e a tutti coloro che cercano di dimenticarsene e di farlo dimenticare ai suoi seguaci.
Dario Calimani, Università di Venezia
(26 maggio 2020)