Ticketless – Album di famiglia

Non credo sia giusto sorvolare sulla recente scomparsa di Rossana Rossanda. Per l’importanza della sua figura, per i suoi interventi, anche su questione ebraica e Israele. Per il ruolo che ebbe nell’estate tragica del 1982, tra Sabra e Chatila e attentato davanti alla sinagoga di Roma, non c’è che da rinviare all’analisi che ne hanno fatto nel loro bel libro Guri Schwarz e Arturo Marzano (Viella ed.). Leggendo in questi giorni gli articoli a lei dedicati colpisce quanto, trascorsi molti anni dagli eventi, di lei rimangano nella memoria collettiva tre cose: l’essere stata discepola fedele di Togliatti, i suoi scritti sull’emancipazione femminile e la frase sull’”album di famiglia” coraggiosamente pronunciata negli anni bui del terrorismo. Sui primi due punti, per totale incompetenza, mi astengo dal dire qualsiasi cosa. Sull’invito rivolto alla sinistra, in pieno sequestro Moro, perché sfogliasse l’album di famiglia e ritrovasse nei folli proclami delle Br una parte della propria storia vorrei aggiungere qualche pensiero.
Ciascuno ha i propri album di famiglia da sfogliare. Nella tradizione ebraica vanno per la maggiore gli alberi genealogici, per i quali non ho particolare simpatia. Le foto di gruppo con famiglia sono invece in tutte le nostre case. E’ sempre un esercizio salutare guardare gli album di famiglia, a patto di farlo, come ci invita a fare Rossanda, non per mero gusto nostalgico, apologetico o crepuscolare. L’album di famiglia va sfogliato per scoprire zone oscure del nostro passato: per esempio, il consenso dato al fascismo dai nostri nonni, il nazionalismo estremo manifestato durante la prima guerra mondiale, le false ambizioni di un’assimilazione rincorsa per vanità terreno, nei più semplici comportamenti quotidiani
Sfogliare l’album di famiglia è essenziale al fine di tenere in esercizio il senso critico. Un solo esempio, a proposito di un caso di cui molto s’è parlato in queste settimane. Sia ben chiaro: non vorrei rovinare la festa a nessuno, mi scuso in anticipo.
Proprio su questa rubrica (Notizie false, notizie vere, 4 maggio 2016) mi era capitato di recensire un poderoso volume pubblicato dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (A. Zarcone, Il generale Roberto Segre, 2016). “Verosimilmente falsa”, secondo l’autore di questo studio, la notizia che a sparare per primo a Porta Pia sia stato il capitano Giacomo Segre. La scelta, si continua a ripetere, sarebbe caduta su di lui per annullare la probabile scomunica papale. Il problema va se mai inserito nel contesto dell’Italia anticlericale dell’ultimo Ottocento: occorrerebbe capire perché si diffuse quella leggenda probabilmente infondata, il ruolo che essa ebbe nella società del tempo, all’indomani della vendita dei beni ecclesiastici per effetto della Legge Siccardi. Le false notizie non nascono mai per caso non solo in tempo di guerra come sostiene Bloch, ma anche in tempo di tensione sociale e di pregiudizi diffusi. Zanardo dimostra che quella di Porta Pia, “non fu una scelta pianificata dai vertici dell’Esercito, ma si verificò solamente per un gioco del fato”. Oggi ritornare allo spirito di quell’anticlericalismo tardo-ottocentesco può servire a qualcuno o a qualche cosa?
Molto lavoro serio resta da fare sul Risorgimento e gli ebrei, altre immagini dell’album vanno riportate alla ribalta. Sono alle porte le celebrazioni per i moti del 1821: urge per fare un esempio una ricerca sulla presenza in quei movimenti (nel 1821!) di ebrei appena rientrati con la forza e con la repressione nei ghetti, per effetto della Restaurazione di Carlo Felice. Se così fosse, la loro partecipazione sarebbe da festeggiare con gioia, quasi quanto la partecipazione dei loro discendenti alla Resistenza. Un’altra foto del nostro album di famiglia da rivalutare è quella dei volontari nella prima guerra di indipendenza (fra gli altri il grande Salvatore De Benedetti), qualche caduto nella battaglia di Novara per esempio andrebbe commemorato.
Troppa polvere s’è depositata sui nostri album di famiglia del Risorgimento. Un pensiero grato a Rossanda per avercelo ricordato.

Alberto Cavaglion