Il giorno delle rinunce
L’ultima passeggiata fuori città, l’ultima pizza, l’ultimo caffè al bar: un po’ come nelle settimane e nei giorni che precedono Pesach in cui si deve dire addio ai cibi lievitati e ai pasti fuori casa; con la differenza che Pesach è una festa gioiosa e dura solo otto giorni mentre nella nostra situazione si passa da una preoccupazione all’altra e non se ne vede la fine. Quanto sono buone e belle le cose che si gustano senza sapere quando si potranno gustare di nuovo! Leopardi avrebbe dovuto scrivere qualcosa in proposito oltre a parlare del piacere dell’attesa e di quello derivante da uno scampato pericolo.
E intanto lunghe discussioni su come organizzare una didattica che nel giro di pochi giorni è passata attraverso lezioni in presenza, in presenza ma con allievi assenti, in quarantena, rientrate dalla quarantena solo in parte, lontane da scuola il 50% del tempo, poi il 75%, poi il 100%. Quante ore al giorno si possono tenere i ragazzi fissi davanti a un computer? E dunque quante ore alla settimana si devono svolgere in modalità asincrona? E cosa significa? A chi di noi toccherà? Mentre i dipartimenti e i consigli di classe intavolano negoziati a confronto dei quali trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese sembra un gioco da ragazzi io tempesto i colleghi di mail con elenchi di tutto ciò che sono disposta a fare piuttosto che inviare una lezione preregistrata; mi chiedo se non sia il caso di aggiungere, a scanso di equivoci, che piuttosto devono passare sul mio cadavere ma mi rendo conto che farmi uccidere non sarebbe halakhicamente corretto: in effetti se qualcuno mi rapisse, mi legasse davanti a una telecamera e mi ordinasse armi in pugno di spiegare il Dolce Stil Novo tutto sommato potrei anche accondiscendere alla sua richiesta per aver salva la vita. Ma questa è l’unica circostanza in cui potrei accettare di farlo.
Perché sono così refrattaria alle lezioni preregistrate? Perché la lezione per me è dialogo, discussione, interazione dei ragazzi tra di loro, confronto tra idee diverse. Mi torna in mente quello che ha detto qualche mese fa Rav Amedeo Spagnoletto in un incontro zoom (e che condivido pienamente): una lezione ben riuscita è quella che prende direzioni impreviste, che non si sa dove vada a finire. Questo è vero per una lezione in presenza ma è altrettanto vero per una lezione a distanza (anzi, a volte è ancora più vero perché essendo tutti attaccati a telefoni, tablet e computer abbiamo la possibilità di aprire infinite parentesi con il prezioso supporto di internet). E infine non dobbiamo dimenticare che in una lezione faccia a faccia (e da questo punto di vista poco importa se la faccia sia dal vivo o su uno schermo) non è solo l’allievo che impara dall’insegnante, ma anche viceversa: non solo le riflessioni e gli approfondimenti, ma spesso anche le stesse domande ci offrono punti di vista nuovi e ci costringono a non dare per scontato quello che credevamo di sapere.
Noi insegnanti abbiamo il privilegio di poter imparare ogni giorno qualcosa dai nostri allievi. Perché oltre a tutte le altre restrizioni dovremmo rinunciare anche a questo?
Anna Segre