Perseguitati razziali,
risultati ottenuti
e nodi ancora da risolvere

Una battaglia non ancora terminata, come raccontano le cronache, ma arrivata a un punto di svolta grazie alle novità dell’ultima legge di Bilancio. È quella diretta a correggere la disciplina dei risarcimenti ai perseguitati razziali e politici dal fascismo. Per anni, in particolare, si sono accumulati casi in cui cittadini ebrei vittime delle leggi razziste e delle persecuzioni si sono visti negare il diritto agli assegni di benemerenza previsti dalla legge Terracini del 1955 (“Provvidenze a favore dei perseguitati politici o razziali e dei loro familiari superstiti”). E per anni l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è impegnata affinché questi diritti venissero riconosciuti e le distorsioni presenti nella norma del ’55 fossero superate. “Profonde aberrazioni”, le ha definite la Presidente UCEI Noemi Di Segni, spiegando quali importanti correttivi alla legge Terracini siano stati introdotti con la legge di Bilancio, pubblicata il 30 dicembre 2020 nella Gazzetta Ufficiale. “Il comma 373 precisa, anzitutto (alla lettere a), il superamento del limite temporale dell’8 settembre 1943, chiarendo quindi una volta per sempre che la persecuzione subita è riferita all’intero periodo dell’occupazione nazifascista e si conclude il giorno della liberazione, quindi il 25 aprile del 1945. – evidenziava in queste pagine la Presidente UCEI – Fino a questa data vi erano ancora persecuzioni sia da parte degli occupanti nazisti sia dei fascisti. La persecuzione di cui l’Italia deve rispondere non è solo quella fascista e non finisce con l’invasione successiva all’armistizio”.
Altro novità fondamentale introdotta, quella legata all’onere della prova. “Fino a ieri qualsiasi richiedente doveva produrre la prova dell’atto persecutorio. – spiegava Di Segni – Dimostrare quindi di aver sofferto e di aver subito atti di violenza e sevizie, con documenti originali o testimoni. Al di là della difficoltà oggettiva di fornire tali prove e al di là della valutazione estremamente variabile di cosa si intende per atto persecutorio vi era una umiliante decisione di ammissibilità soggettivizzata. Dopo l’onta e le esclusioni da ogni ambito della vita dovuta alle leggi razziste, dopo la persecuzione fisica e la deportazione, gli ebrei dovevano ancora dimostrare la ‘corretta’ applicazione di tale persecuzione nei loro riguardi, e questo dopo la formale abolizione delle leggi antiebraiche, dopo la Costituzione del 1947. Con la nuova disposizione si chiarisce che gli atti di violenza o le sevizie subite in Italia o all’estero si presumono fino a prova contraria. Con tale formulazione si supera quindi la richiesta a carico del richiedente di fornire prove, riconoscendo quindi (implicitamente) che leggi e circolari volute e promulgate in Italia sono state applicate con rigore alla popolazione ebraica e quanto sia incoerente, normativamente, se non anche aberrante moralmente, chiederne la prova”.
Un cambio di orientamento necessario a cui si è arrivati con anni di lavoro nelle sedi istituzionali, come ha raccontato il Vicepresidente UCEI Giulio Disegni, membro della Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici italiani antifascisti o razziali e loro familiari superstiti. Due le Commissioni dedicate al tema e istituite presso la Presidenza del Consiglio nel corso del tempo. La seconda di recente formazione, presieduta da Giovanni Canzio, già primo presidente della Corte Suprema di Cassazione, e nata su impulso, “ha lavorato con ritmi serrati, in piena armonia, al di là di qualche inevitabile differenza di pensiero tra i vari commissari, arrivando in pochi mesi a formulare alcune concrete proposte normative, pressoché unitarie, anziché semplici orientamenti interpretativi, che venivano poste all’attenzione prima della Presidenza del Consiglio dei Ministri, poi del Parlamento”, la testimonianza di Davide Jona Falco, Consigliere UCEI, che di questa Commissione di Studi è uno dei membri. Si è arrivati così alle citate novità introdotte nella legge di Bilancio approvata a fine 2020. Una norma, rileva il Vicepresidente Disegni, che apre nuove prospettive “per chi non ha potuto veder sinora riconosciuto il proprio diritto all’ottenimento della benemerenza, mentre restano sul tappeto ancora talune criticità e diversità di orientamenti, che si spera possano esser presto risolti, nella comune convinzione che chi ha subìto persecuzioni, restrizioni e discriminazioni a causa delle famigerate leggi razziste non debba più subire iniquità”. Tra i casi da risolvere, quello discusso di recente a Torino. Qui la Corte dei Conti ha per il momento sospeso il provvedimento contro gli eredi di Messauda Fadlun, nata in Libia e vittima delle leggi razziste del fascismo, a cui nel 2007 era stato riconosciuto l’assegno di benemerenza. Una misura poi interrotta con la richiesta dello Stato alla famiglia – Messauda Fadlun, a lungo insegnante della Scuola ebraica di Torino, è scomparsa nel 2018 – di avere indietro quanto erogato. A raccontare lo sconcerto per questa richiesta, il figlio Ariel Finzi, rabbino capo della comunità ebraica di Napoli. “È arrivata una ingiunzione di pagamento a mio padre, 99 anni di età, per la restituzione di quella cifra. Lo Stato italiano sostiene che la cittadinanza italiana dei residenti nelle colonie, in questo caso in Libia, non fosse di rango sufficiente per ottenere quel beneficio”. Non si riconosce dunque la cittadinanza piena della signora Fadlun, vittima in Libia delle leggi razziste, e con questa motivazione viene negato il diritto alla benemerenza. Un doppio problema, di cui la Commissione di studio è al corrente, spiegava Jona Falco, e che richiede un intervento risolutore. “Mi auguro davvero in un ripensamento e in una riparazione, – l’auspicio di Finzi – che prima ancora di essere economica e legale, sarebbe un atto di dignità morale”.