SOCIETÀ – Dara Horn: Perché ricordare la Shoah non aiuta contro l’antisemitismo

Giornalista, autrice di saggi, docente di letteratura yiddish ed ebraica, Dara Horn è l’autrice di People Love Dead Jews (La gente ama gli ebrei morti), volume pubblicato da Norton & Co nel 2021. In una intervista fatta da Elie Petit per tribunejuive.info, pubblicata il 16 febbraio, Horn si interroga sulle ambiguità con cui l’Occidente – gli Stati Uniti in particolare – si rapportano agli ebrei, a partire dall’idea – appunto – che “gli ebrei morti” suscitino molto più interesse di quelli vivi. La trasformazione in un simbolo, che sia della memoria sterilizzata della Shoah, o della vittima impotente, del capro espiatorio, è una sorta di disumanizzazione, da lei equiparato a una negazione della dignità umana, col risultato di portare facilmente all’odio e all’antisemitismo.
Spinta dalle domande ricorrenti postele dai media in seguito agli atti di antisemitismo negli Stati Uniti, l’autrice si è interrogata sulla impossibilità di evitare l’argomento: essere ebrei rende automaticamente necessario rispondere alle sollecitazioni in materia? Considerando almeno altrettanto sconcertanti i frequenti tentativi di non riconoscere la matrice antisemita delle aggressioni, nonostante gli investimenti compiuti sul fronte didattico, Horn è arrivata alla conclusione che l’insegnamento della Shoah segue uno schema inadatto a combattere le violenze contemporanee: raccontare una storia passata che sicuramente colpisce e rattrista permette però anche a chi la scopre di distaccarsi, e di dare per scontato che non sia possibile qualcosa di simile si ripeta oggi.
People Love Dead Jews è il suo sesto libro. Horn è partita dalla convinzione che gli ebrei abbiano un ruolo rilevante nell’immaginario globale. Un immaginario che però nulla ha a che fare con quello che sono veramente. È in se stesso, questo, un tipo di antisemitismo che può presentarsi in diverse forme e va combattuto: porta gli ebrei a raccontarsi in una maniera falsata, a mettere in secondo piano la realtà attuale, il quotidiano, la ricchezza culturale artistica e vitale del presente per lasciare spazio alla narrazione della Shoah.
Dopo il 7 ottobre, però, è comparsa la sensazione che invece neppure gli ebrei morti “vadano bene”, proprio perché stanno facendo quello che invece la narrazione sostiene non avessero mai neppure tentato: reagire, difendersi, dimostrare una qualche capacità di reazione. È forse proprio su questo che si gioca l’amore per gli ebrei: funziona sino a quando sono percepiti come impotenti, non in grado di impedire il proprio massacro. Difendersi e reagire no, quello non è permesso.