I rabbini capo di Roma e di Milano Riccardo Di Segni e Alfonso Arbib hanno emesso la seguente nota congiunta:
Giovedi scorso, sui canali di comunicazione della Comunità ebraica di Roma, è stato pubblicato un annuncio della Rabbanut Rashit leIsrael …
Il giorno dopo le dimissioni di Benedetto XVI, tra i tanti, tantissimi aspetti che i giornali approfondiscono, rilievo viene dato al rapporto del papa con l’ebraismo e alle reazioni dei leader ebraici. Vari i punti presi in considerazione: i passi …
Con l'autorevole firma di un pensatore come Ernesto Galli della Loggia, il Corriere della Sera ha archiviato in prima pagina il 2012 sui toni di una riflessione dedicata al ruolo dell'ebraismo nel dibattito fra politica e religioni. L'accento è sugli scottanti interrogativi dell'etica, dei diritti civili, dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, dell'omoparentalità e delle adozioni. Dal testo si apprende che l'autore ha ascoltato con attenzione il discorso di Natale di Benedetto XVI ed è rimasto colpito dalla inconsueta lode che il papa riserva a un documento dedicato recentemente a questi temi dal gran rabbino di Francia Gilles Bernheim. A Galli della Loggia piace unire la propria voce, lasciando intendere che il documento del rabbinato francese costituisca una rara e coraggiosa novità nel quadro di un ebraismo solitamente silente, soprattutto in Italia, sulle grandi questioni civili. Un ebraismo inquinato inoltre da un gran numero di ebrei ansiosi di gettare alle ortiche la religione dei padri e di intraprendere un percorso di radicale emancipazione-secolarizzazione per "integrarsi in pieno con le élite laico liberali sulla via di prendere dovunque il potere". Di che stupirsi. E' ben noto, e non da oggi, come la brama di potere induca spesso gli ebrei ai comportamenti più scostumati. Ma al di là di questi triti, penosi stereotipi di ritorno, l'editoriale del Corriere sembra destinato a lasciare il segno.
Da un lato, infatti, si basa su presupposti del tutto immaginari e alquanto infondati. L'ebraismo italiano, e con esso il suo rabbinato, è stato silente solo per chi non ha voluto ascoltarlo. Solo per citare pochi esempi, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni usò oltre cinque anni fa argomenti solidi e parole ben chiare, per alcuni anche troppo chiare, per dire le stesse cose che oggi ci ripete il rav Bernheim. Chi volesse rinfrescarsi la memoria farebbe bene a rileggerselo. Il rabbino romano Gianfranco Di Segni è intervenuto più e più volte, anche su queste pagine, dimostrando come la ricerca sui temi di bioetica sia al centro della riflessione rabbinica contemporanea. Il rabbino di Torino Alberto Moshe Somekh usò parole molto chiare ai tempi del referendum sulla fecondazione assistita del 2005 per marcare una posizione ebraica ben diversa da quella della Chiesa cattolica. E da quelle parole non si deduceva solo una differenza di posizioni. Ma anche che nella stagione in cui il mondo cattolico andava predicando il disimpegno civile e il dovere del cittadino religioso di far fallire il referendum (ciò che puntualmente avvenne con i tragici risultati di emarginazione dal mondo progredito che punta sulla ricerca scientifica), per contro il dovere religioso degli ebrei italiani era quello di andare a votare.L'ebraismo è complesso, spesso contraddittorio, ma commette un grossolano errore chi per assecondare il proprio ragionamento confonde la libertà di pensiero e di ricerca, il rispetto per la pluralità delle sensibilità che va di pari passo con l'esigenza di rispetto della Legge ebraica, come una latitanza. L'intervento del Corriere risulta quindi viziato da una ruvida superficialità che non può giovare alle ragioni delle grandi religioni. E in quanto tale dovrebbe essere rispedito al mittente.
D'altro canto, nonostante muova da una forzatura inaccettabile, l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia finisce per sollevare interrogativi pressanti e anche fosse solo per questo motivo possiede meriti di non poco conto.
Come mai, se è vero come è vero che il rabbinato e il mondo ebraico italiano pensano e discutono, la società percepisce allora così debolmente questo segnale? Manca la volontà di ascoltare? O manca piuttosto la volontà di usare parole chiare, di farsi capire? O ancora non dovremmo forse anche noi, tutti noi, a cominciare dagli ebrei che lavorano sul fronte dell'informazione, ripensare il nostro lavoro e l'efficacia del nostro impegno?
Se un dibattito serio sulla funzione degli ebrei italiani nella società e sulla maniera di presentare, di comunicare questo ruolo, prenderà nei prossimi giorni effettivamente l'avvio, l'editoriale di fine anno del Corriere, pur reggendosi su presupposti del tutto sballati, avrà comunque un grande merito. Da una stortura, come il Talmud insegna in pagine memorabili, possono in definitiva scaturire molte meraviglie.
gv
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