JCiak – Ungheria, Polonia
e il veleno dell’odio

Quando ho letto cos’è successo a Pruchnik mi è tornato in mente 1945 di Ferenc Torok, uno dei film più inquietanti di questi anni. Qualche giorno fa, a Pruchnik, un paesino di 3 mila 500 abitanti nel sud est della Polonia, un fantoccio raffigurante Giuda con le fattezze stereotipate di un ebreo ortodosso è stato picchiato, impiccato e dato alle fiamme in occasione del venerdì santo.
L’episodio ha fatto il giro del mondo e la condanna della Chiesa non si è fatta attendere. Le immagini sono brutali. La folla si accanisce sul fantoccio con violenza e i bambini partecipano con entusiasmo. È un rituale che rimanda dritti al Medioevo e porta allo scoperto quel groviglio d’odio e pregiudizi che il regista ungherese Torok ha illuminato con coraggio, ribaltando la retorica di tante narrazioni della Shoah.
In 1945 (realizzato nel 2017) a innescare la catena di eventi è l’arrivo di due ebrei ortodossi. Il paese è immerso nei preparativi per il matrimonio del figlio del vicario e la giornata scivola morbida nel caldo torrido di agosto. Quando il treno lascia alla stazione i due uomini, un giovane e un vecchio, basta poco perché la voce si sparga.
Mentre i due si avviano verso il villaggio con le loro misteriose casse che poi si scoprirà contengono profumi, una tempesta di sospetti, paure e ricordi intollerabili sconvolge gli animi. Siamo in Ungheria all’indomani della guerra e tutti in paese hanno qualcosa da farsi perdonare e da dimenticare.
In un bianco e nero potente, Torok ci conduce nel cuore di un odio sempre pronto a rialzare la testa. In paese nessuno sa cosa vogliono i due ebrei, che presto si scopre sono padre (Ivan Angelus) e figlio (Marcell Nagy). Basta però la loro presenza a mandare in pezzi la comunità. I segreti del recente passato tornano nella loro atrocità: omissioni, delazioni, furti, tradimenti.
C’è chi teme l’arrivo di altri ebrei, chi teme vendetta, chi ha paura di dover restituire i beni depredati alle famiglie ebraiche. Nessuno può fare finta niente perché ognuno, soprattutto i più rispettabili, ha qualcosa da perdere.
Sulla spinta delle emozioni la patina di rispettabilità dietro cui i paesani si sono finora celati si dissolve. L’avidità si mostra nella sua mostruosa evidenza e gli intrighi che hanno condotto al massacro degli ebrei del villaggio vengono alla luce. “Dobbiamo ridargli tutto”, dirà a un certo punto l’ubriaco del paese ma sarà il solo a farsi tanti scrupoli.
In 1945 il regista Torok congela l’attimo prima dell’orrore in uno spietato fermo immagine e ci guida in un’esplorazione inquietante della colpa e delle sue declinazioni. All’uscita il film ha riportato alla memoria il pogrom di Kielce in Polonia, dove nel luglio 1946 vennero massacrati 42 ebrei e ancor più numerosi furono i feriti. Oggi, fa riflettere sui fatti di Pruchnik.
Quel manichino dato alle fiamme ci mostra, ancora una volta, che il veleno dell’odio sopravvive ai secoli. Il rituale del fantoccio in fiamme risale al Medioevo e negli anni prima della guerra era ancora praticato. Nemmeno l’orrore dello sterminio ebraico e il suo carico schiacciante di responsabilità sono riusciti a sradicarlo dal cuore e dal cervello.

Daniela Gross