Di generazione in generazione / 6
Il limite della mitzvah
Secondo un tipico gioco di parole, i maestri del Talmud hanno pensato che Pesach è la festa in cui le mazzot diventano, o possono diventare, mitzvot.
È un gioco di parole impegnativo. Pesach è la festa in cui una mitzvah diventa la mitzvah; è la festa della mitzvah, la festa in cui possiamo interrogare e comprendere il significato esistenziale della mitzvah.
Questa matzah che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché l’abbiamo mangiata quando eravamo schiavi. Perché l’abbiamo mangiata nel momento della liberazione, nell’attimo in cui abbiamo scelto, con una mitzvah, di diventare ebrei. Perché la mangeremo da ebrei liberi, che accettano la mitzvah come segnale della libertà.
Questo Pesach per cosa lo facciamo? Perché eravamo tutti chiusi nelle nostre case, mentre QBH passava oltre, salvandoci in/per un attimo, mentre nel mondo volava la morte ed ognuno si sentiva che poteva trovarsi tra la vita e la morte. E noi ricordiamo che ci sono tanti momenti in cui si può stare tra la vita e la morte. E si pensa di poter o di dover scegliere.
Questa erba amara che senso ha? Perché le nostre vite sono state amareggiate dalla schiavitù e abbiamo malcapito il sapore dell’amarezza e adesso, nella libertà, vogliamo imparare a riconoscere ed isolare il sapore della schiavitù. Ovunque sia nella nostra esistenza.
Nel racconto della Torah Pesach è la festa del salto tra la schiavitù e la mitzvah; si esce dall’Egitto per accettare le mitzvot.
La Torah ci ricorda che per quasi quaranta anni abbiamo continuato a rimpiangere i piaceri della schiavitù.
I maestri si sono chiesti cosa mai rimpiangevamo e si sono dati una risposta abbastanza plausibile. Quando eravamo in Egitto forse non capivamo bene che cosa era la schiavitù, ma sapevamo benissimo di essere liberi dalle mitzvot.
E lo scambio ci sembrava vantaggioso.
Quest’anno, nell’anno del CoronaVirus, gli ebrei anziani, quelli più costretti all’isolamento, faranno un Pesach abbastanza diverso.
Ricorderemo tutti i momenti in cui eravamo soli, perché eravamo ebrei.
Ricorderemo che nei momenti in cui incombe un pericolo generale (come fu nell’anno di Ester e Mordekhai) Pesach è profondamente diverso, perché sa anche di isolamento, di dolore, di paura.
Ricorderemo che l’halakhah è soltanto quella strada, che va dall’inizio alla fine dell’universo, in cui gli ebrei sanno camminare, a passi di mitzvah.
In fondo, secondo i maestri, anche QBH vive nei quattro passi dell’Halakhah. In questo senso la mitzvah è certamente un limite; ma è il limite dell’apertura verso il mondo e verso l’infinito.
Gavriel Levi
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(6 aprile 2020)