“Scoprire Israele da casa propria”

La violenza del terrorismo, l’amore per la musica, il mistero infinito della sessualità. Anche quest’anno la rassegna del Nuovo cinema ebraico e israeliano organizzato dalla Fondazione Cdec in collaborazione con la Fondazione Cineteca italiana porta in scena una varietà di generi e storie a illuminare un panorama culturale in costante fermento. A cambiare è però la forma e in tempi di pandemia non potrebbe essere altrimenti.
Come già accaduto per il Toronto Jewish Film Festival e altri festival cinematografi ci internazionali, in questa tredicesima edizione le proiezioni si spostano nelle sale virtuali di internet. Dal 5 al 10 settembre sarà dunque possibile vedere in streaming i film selezionati sulla piattaforma della Cineteca italiana. Una prima visione che non regala il fascino della sala, ma ha il vantaggio di allargare l’evento agli spettatori di tutt’Italia eliminando ogni rischio di contagio. Curata da Nanette Hayon e Anna Saralvo, la rassegna propone sei film nell’arco di sei giorni in una panoramica della produzione più recente. “Dopo la grande stagione di successi che nei primi anni Duemila hanno portato il cinema israeliano alla ribalta internazionale, oggi assistiamo a una fase di assestamento”, spiega il direttore scientifico dell’evento Sara Ferrari, docente di Lingua e cultura ebraica all’Università di Milano. “Il cinema d’Israele ci ha messo tanto a decollare, non solo per ragioni pratiche o economiche. La difficoltà è stata di trovare un linguaggio e delle storie che a partire dalla realtà israeliana potessero proporsi come universali”. Il risultato è stata una fioritura straordinaria che ha finito per rimescolare gli scenari. Registi come Nadav Lapid o Amos Gitai sono ormai più europei che israeliani mentre altri, tra i più celebri Joseph Cedar, sono approdati a Hollywood. La spinta creativa è però lontana dall’essere esaurita. Nuovi nomi si affacciano alla ribalta e nuovi linguaggi prendono forma. “Le spinte più innnovative si registrano in televisione, con incursioni in ambienti meno esplorati. Pensiamo a Fauda o all’ambientazione nel mondo haredi di Shtisel”, dice Ferrari. “Anche in questo caso, il grande successo di pubblico è raggiunto grazie a personaggi che, pur essendo fortemente caratterizzati, hanno una profondità e un’umanità tali da consentire allo spettatore di identificarsi con facilità”.

Al cinema come in televisione, i temi politici e sociali sono quelli che più stanno a cuore agli autori. Non per caso l’apertura della rassegna è affidata a The Dead of Jaffa – Hametim shel Jaffo di Ram Loevy che racconta la vicenda di tre bambini fatti passare clandestinamente dalla West Bank in Israele dove, negli anni roventi che vedono la nascita dello Stato, sono accolti da una famiglia palestinese. Il secondo film si sposta invece su un terreno più apertamente politico. Incitement -Yamim noraim di Yaron Zilberman – scritto dal regista con Ron Leshem (già autore del best seller Tredici soldati) e Yair Hizmi – segue Yigal Amir, l’assassino di Rabin, nei due anni che precedono il suo atroce gesto. È un film complesso e discusso che riporta in vita un passato con cui Israele ancora sta facendo i conti.
La violenza è il filo conduttore anche di Chained – Einaim sheli di Yaron Shani, parte della sua Trilogia dell’amore. Il protagonista è un poliziotto, personaggio chiave nell’immaginario israeliano – dall’indimenticabile Policeman – Hashoter Azoulay (1972) scritto da Efraim Kishon e interpretato da Shaike Ophir all’agente antiterrorismo di Nadav Lapid (Policeman, 2011) senza dimenticare lo strepitoso successo della serie tv The Good Cop – Hashoter Hatov. Il film di Yaron Shani porta in scena la vita privata del suo protagonista e attraverso i confl itti con la figliastra esplora le sue fragilità e l’estrema difficoltà di conciliarle con la sfera pubblica.
Assai diverso il tono di Born in Jerusalem and still Alive – Noladti beYerushalaim veadain hai di Yossi Atia e David Ofek. Qui il protagonista è un giovane di Gerusalemme che si improvvisa guida turistica. Invece di indorare la situazione come tanti colleghi, conduce i clienti in un Terror tour nei luoghi dei peggiori attentati e lì offre un surreale resoconto della vita quotidiana al tempo del terrorismo. “Gli attentati sono l’aspetto più tragico e devastante della vita in Israele”, dice Ferrari. “È un tema noto a livello generale, ma non così frequente nel prodotto culturale. Il film affronta queste ansie quotidiane con una robusta dose di dark humor ed è un lavoro che poteva arrivare solo dal cinema israeliano”.
Se God of the Piano – Elohei Hapsanter di Itay Tal sfiora i toni della tragedia in un dramma familiare che per certi versi riporta alla memoria Footnote (2011) di Joseph Cedar, il documentario che chiude la rassegna è un inno sfrenato alla vita. Intitolato Ask Dr. Ruth e diretto da Ryan White, il film ripercorre la vita straordinaria di Ruth Westheimer. Scampata alla Shoah, è diventata la più famosa terapista sessuale degli Stati Uniti con tanto di programmi radio e tv. Minuscola, un forte accento tedesco e una vivacità irrefrenabile, con il suo approccio disinibito Dr. Ruth, come la chiamano tutti, ha rivoluzionato la conversazione sulla sessualità. Ormai novantaduenne, nel documentario ripercorre i suoi successi e l’infanzia dolorosamente segnata dalla persecuzione nazifascista.
Nella prossima rassegna mancherà l’incontro con i protagonisti dei film – da sempre uno dei momenti favoriti dal pubblico. Per entrare in sintonia con le situazioni e i personaggi basterà però affidarsi, ogni sera alle 21, all’introduzione di Sara Ferrari. “Il cinema israeliano non arriva in Italia con facilità e le sue storie non sono sempre immediate per gli spettatori. Per quanto presenti sui media, gli scenari mediorientali restano per certi aspetti sconosciuti”.